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Cronache
Dopo le campagne si passa al delivery. Le città aprono le porte al caporalato

Durante il lockdown che ha interessato l’Italia da marzo a maggio, gli invisibili sono diventati visibili. Le persone che con le misure restrittive hanno continuato a lavorare tutti i giorni, nonostante i pericoli nei quali si poteva incorrere, sono stati oggetto di elogi dell’opinione pubblica e delle istituzioni. Molti di questi lavoratori, finito lo stato di emergenza, sono ricaduti nel baratro della noncuranza. Tra questi i riders: coloro che consegnano cibo e beni di prima necessità davanti la porta di milioni di italiani. Che siano le 11 del mattino o le 2 di notte, che ci sia pioggia o sole, questi lavoratori muniti di un mezzo di trasporto rigorosamente di loro proprietà, spesso bici ma anche motorini, hanno girato e continuano a girare tutti i giorni per le consegne a domicilio dei servizi di delivery attivi nelle città italiane.

Che cosa è la gig economy

Questi lavoratori entrano a pieno titolo nella gig economy che in italiano potrebbe essere tradotta come ‘economia dei lavoretti’. La gig economy è un nuovo tipo di economia digitale basata essenzialmente sul lavoro a chiamata. I gig workers, tra i quali annoveriamo i riders che sono il 10% del totale, sono considerati lavoratori autonomi che guadagnano grazie all’intermediazione di grandi aziende del digitale.

Nel caso dei riders il datore di lavoro è una piattaforma online di food delivery. Alcune delle più note sono: Deliveroo, Glovo, Just Eat, Social Food e Uber Eats .

La vicenda di UberEats

Una di queste, UberEats Italia è stata commissariata dal Tribunale di Milano, dopo che il pm Paolo Storari ha portato a termine le indagini per caporalato nei confronti della piattaforma di delivery. Secondo il  pubblico ministero ci sarebbe un sistema di sfruttamento del lavoro da parte della società. A parere del pm "i riders venivano sottoposti a condizioni di lavoro degradanti, con un regime di sopraffazione retributivo e trattamentale”.

Il caporalato in Italia e l'identikit degli sfruttati

Il caporalato non è altro che lo sfruttamento della manodopera a basso costo. Da sempre accostato ai lavori nelle campagne attraverso il caporale, vengono ingaggiate persone, donne o uomini, di solito extracomunitari ma non solo, per farle lavorare in nero, in condizione degradanti, senza alcun tipo di tutela. E’ un reato, perseguito penalmente con una reclusione da 5 a 8 anni di carcere per colui che lo pratica.

Oggi il caporalato è cambiato. Una delle tante piaghe della società contemporanea si è spostato, anzi esteso, dalle tristemente famose campagne del foggiano o del casertano alle strade di Milano e tante altre città d’Italia. L’identikit degli sfruttati è più o meno sempre lo stesso: molto spesso immigrati, scelti tra i vari centri d’accoglienza, sottopagati e senza garanzie contrattuali di solito riservate a tutti i lavoratori.

Secondo quanto scrive Wired, per 75 ore di lavoro settimanali un rider della società UberEats Italia, sarebbe stato retribuito con poco più di 200 euro al mese e spesso l’errore sul lavoro sarebbe stato punito con un malus sullo stipendio o addirittura la fine della collaborazione.

I riders, come tutti gli impiegati che vengono inglobati nella gig economy, risultano essere lavoratori autonomi. Questo sulla carta. In realtà tramite algoritmo di un app i riders devono rispettare turni e orari, dunque l’autonomia si perde a discapito di rigide turnazioni.

La situazione precaria che vivono questi lavoratori, sottoposti a pressioni per i tempi di consegna e obbligati a lavorare a prescindere dalle situazioni contingenti, ha portato alla nascita di molti movimenti per la difesa dei diritti dei riders e allo sviluppo di una piattaforma rivendicativa in diverse città italiane #riderxidiritti.  Inoltre, molte sigle sindacali cercano di impegnarsi per  proteggere questa categoria.

Prove generali per la nascita di tutele 

Recentemente, il contratto stipulato da AssoDelivery, associazione che rappresenta l’industria italiana del food delivery a cui sono associati  Deliveroo, Glovo, Just Eat, Social Food e Uber Eats e il sindacato UGL (Unione Generale del Lavoro), è stato giudicato illegittimo dal governo poiché il Ministero del Lavoro ha sollevato dubbi in quanto redatto da una sola sigla sindacale. Le altre sigle, come riportato dal sito Startupitalia, sostengono: “Le varie Glovo, Just Eat, Uber Eat con questo contratto continueranno a disporre di una manodopera potenzialmente infinita, facilmente sostituibile, e scaricando sui lavoratori il proprio vantaggio fiscale e contributivo. A questi lavoratori non verranno retribuite malattia, tredicesima, ferie e la maternità; potranno essere licenziati e quando avranno raggiunto il tetto retributivo massimo per le collaborazioni occasionali (5000 euro annui) potranno riconsegnare i loro nuovi dispositivi di lavoro generosamente concessi in virtù di questo accordo”.

In questo quadro, la conclusione è che il caporalato al quale siamo abituati e con il quale da anni lo Stato e gli attivisti cercano di combattere, ha subito nell’era della globalizzazione una sua evoluzione. Nessuna differenza tra Nord e Sud, campagne e città: lo sfruttamento è ovunque.

Alessandra Vardaro

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