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Cronache
Egitto, Zaki sotto sorveglianza da marzo per il testo su differenze sessuali
Foto presa dall'utente twitter Topking581

Egitto, Zaki era sotto sorveglianza da marzo. Era sgradito il suo testo sulle differenze sessuali

Non è un posto clandestino: sta a Garden City, - si legge su il Corriere della Sera - vicino alla zona dei grandi alberghi sul Nilo. Non è una trincea di guardie, videocitofoni, portinerie: basta salire due rampe di scale d’un palazzo inizio Novecento, al 14 di Fouad Serag El-Deen Street, e suonare al campanello d’una bella porta liberty. Non è un indirizzo da evitare: mentre ci siamo noi, arrivano due diplomatici dell’ambasciata britannica. Non ha targhe fuori, ma tutti sanno che cosa c’è dentro: la sede dell’Eipr — l’Egyptian Initiative for Personal Rights, che fino al venerdì dell’arresto ha dato uno scopo d’impegno civile a Patrick George Zaki — è una fornace di computer accesi, cellulari roventi, oppositori infiammati.


Prima di trasferirsi a Bologna per il master, Patrick ci passava le giornate. Ora che è in carcere a Mansura per accuse più o meno simili al terrorismo, roba da ergastolo, è a Patrick che i 45 attivisti per i diritti umani dedicano i loro giorni. «Siamo abbastanza ottimisti», dice Gasser Abdel Razek, il direttore dell’Ong: «Tutta questa pressione dall’Italia non può che far bene. Se si continua così, credo che il caso si possa risolvere: Al Sisi capisce che non gli serve, in questo momento, avere un problema internazionale del genere».

Se a Mansura piangono, e la famiglia disperata oggi pomeriggio andrà al posto di polizia per rivedere il ricercatore universitario, al Cairo non ridono. Ma stanno all’erta. Fonti locali rivelano al Corriere che il collegamento con Giulio Regeni può c’entrare, ma fino a un certo punto.

Zaki, si scopre, era sorvegliato e sotto inchiesta ben prima che partisse per l’Italia, il 28 agosto scorso. La polizia chiedeva in giro informazioni e su di lui c’era aperto un dossier almeno da marzo: quando ancora non erano scoppiate in Egitto le clamorose contestazioni del 20 settembre contro la presidenza e a sostegno dell’oppositore in esilio, l’appaltatore dell’esercito Mohammad Ali; quando ancora non era scattata la denuncia, alla base dell’arresto in aeroporto, per l’appoggio di Patrick alle manifestazioni di piazza; soprattutto, quando il ricercatore aveva già preso posizione su Regeni, e senza avere particolari problemi.


Qui, la domanda è: Patrick e Giulio s’erano mai conosciuti? «Lo escluderei», risponde secco Razek. I ragazzi che gli anni passati partecipavano alle cerimonie d’anniversario per l’uccisione di Regeni, non ricordano che Zaki ci fosse: il suo pensiero si limitava a qualche post. E il fatto che durante l’interrogatorio la polizia abbia insistito proprio sui suoi rapporti con la famiglia Regeni (la famiglia, non Giulio)? «Certo, Patrick era comunque attivo sul caso, ma non posso dire che il suo arresto sia connesso a quello del ricercatore italiano».

Il collegamento non piace nemmeno alla famiglia di Zaki: più lo si fa, dice uno zio del ventisettenne in cella, più s’allontana la soluzione. «Patrick è stato preso per un mix di cose», dice Razek. Una, l’appoggia sul tavolo, da sfogliare: un libretto viola, 72 pagine sulla persecuzione della differenza sessuale in Egitto, scritte nel novembre 2017. S’intitola La trappola, e sembra una maledetta profezia: di come Zaki s’è inguaiato.

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