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Cronache
"Infermieri, troppo pochi. Obbligo vaccinale? Nessuno ad oggi è stato sospeso"
Andrea Bottega, segretario nazionale NurSind

Una professione da tutelare”, è questo lo slogan proposto da NurSind in occasione della Giornata nazionale dell’infermiere che ricorrerà mercoledì 12 maggio. Da tutelare cioè “dal pericolo dello spostamento di attività svolte dalla categoria verso altre professionalità o lavoratori meno qualificati - spiega ad affaritaliani.it Andrea Bottega, il segretario nazionale del sindacato delle professioni infermieristiche -. Dall’altra parte c’è anche una necessità di valorizzazione della professione, in modo tale che si possa giungere, o almeno approssimarsi, al numero di infermieri degli altri paesi europei. Per fare un esempio – continua Bottega - Francia e Germania hanno il doppio dei nostri infermieri, e ciò vuol dire che la guerra che tutti stiamo combattendo loro la affrontano con il doppio delle truppe”. Dall'obbligo vaccinale al rilancio dell’assistenza sul territorio previsto nel PNRR, insieme a Bottega facciamo il punto sugli elementi di forza e di debolezza di una fetta indispensabile dell’organizzazione sanitaria del nostro Paese, puntando lo sguardo anche al dopo pandemia.

A marzo il decreto covid ha introdotto lo scudo sanitario e l’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari, quindi anche per gli infermieri. Qual è stato nei fatti il risvolto? Si conoscono i numeri delle sospensioni finora disposte per i medici e gli infermieri che hanno rifiutato di immunizzarsi?

Partiamo dallo scudo penale per chi vaccina, a nostro avviso non necessario posto che all’operatore può essere imputata la sola colpa grave nella somministrazione. E questo era già previsto dalla norma Gelli-Bianco sulla responsabilità professionale. Questa misura, a mio parere, è stata introdotta perché è stata ampliata la platea di persone che possono vaccinare, con altri professionisti non addetti ai lavori, ad esempio i farmacisti.

Per quanto riguarda l’obbligo vaccinale introdotto con il decreto legge 44 del 1° aprile, e in via di conversione, a me ad oggi non risulta nessun provvedimento di sospensione né di demansionamento. Il che può sembrare strano se si considera che lo stesso decreto prevedeva degli step abbastanza stringenti, che entro fine aprile avrebbero portato a provvedimenti. Allora viene da chiedersi perché non si sono presi. Sentendo un po’ le varie realtà delle regioni italiane, posso dire che il Governo sembra non avesse previsto le conseguenze che avrebbe potuto comportare nell’organizzazione del lavoro. Tutte le regioni adesso sperano in una modifica del decreto, prima della conversione. Incaponirsi sull’obbligo vaccinale è controproducente. La cosa più importante in una pandemia, ormai risulta evidente, è la gestione organizzativa del personale

Un eventuale demansionamento, nel caso specifico, di infermieri, rischia di peggiorare il nodo dell’organico impattando sulla copertura di interi reparti? In Italia c'è una carenza cronica, palesatasi già, e ancora di più, con il bando Arcuri, e certificata dall’ultimo rapporto sanità del centro Crea dell'università Tor Vergata, secondo cui “in Italia operano 6,7 infermieri per 1.000 abitanti contro i 7,8 del Regno Unito, i 10,8 della Francia e i 13,2 della Germania”.

Se avessero provveduto a procedere secondo la tempistica prevista dalla norma si sarebbero create delle enormi disfunzioni. Se consideriamo per esempio il reparto di un piccolo ospedale, ostetricia, in cui le ostetriche, per ipotesi, per vari motivi non si sono vaccinate (per allergia, per patologie...), il rischio è che, non potendo più esercitare la professione come prevede la norma, venendo a mancare la gran parte del personale chiuda il punto nascite. Certo, potrebbe sembrare che la norma è stata pensata per persuadere il personale anziché con una campagna vaccinale, e quindi attraverso la sensibilizzazione, costringendolo invece a scegliere tra ricevere lo stipendio e mantenere la famiglia o decidere di non vaccinarsi. L'obbligo dalla nostra categoria è stato vissuto male, ha generato malessere, si è diffusa una certa amarezza nei confronti del Governo che lo ha stabilito. Non è nemmeno stato fatto un distinguo tra l’operatore che lavora nell’area covid e quello che opera in un altro reparto

Il problema dell’organico, inoltre, si dice connesso anche a una ”offerta economica più bassa del previsto”. E’ d’accordo?

Sì, questo è uno dei due punti principali della carenza strutturale (e ciclica) del personale. Il primo è la programmazione della formazione. Ovvero i posti previsti dai bandi dell’università ogni anno sono andati crescendo, ma sono numeri che non bastano a colmare il gap. Tant’è vero che l’ultima crisi del personale infermieristico, che risale al 2000, l’abbiamo compensata importando personale dall’estero. 30.000 iscritti all’ordine degli infermieri erano personale straniero venuto in Italia a farsi riconoscere il titolo e a esercitare la professione.

L’altro limite è la retribuzione. E’ una professione “laureata” pagata da “diplomata”, come nei primi anni Novanta del secolo scorso quando la formazione dell’infermiere avveniva ancora a livello regionale e non universitario. La differenza di retribuzione con la Germania è di circa 15 mila euro. Così anche con la Spagna e l’Inghilterra. Quindi perché ci si dovrebbe trattenere in Italia? Di fronte alla disponibilità di posti messi al bando le domande da parte degli infermieri sono meno della metà, ed è chiaro che il problema economico frena anche l’appetibilità della scelta professionale. E da questo punto di vista, avere tanti posti al bando quante sono le domande comporta anche non fare selezione, e quindi abbassare la qualità. E’ necessario quindi creare un’appetibilità economica ma anche di crescita professionale. Aggiungo che le dotazioni di personale sono vecchie, l’età media è di 50 anni. Abbiamo bisogno di giovani, che abbiano anche familiarità con le nuove conoscenze digitali

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