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Cronache
Medico di Codogno: "Tamponi finiti. Noi rischio vettori del Coronavirus"

 

"Ci mancano gli ausili,dovrebbero arrivare le mascherine". E poi, "non ci hanno fatto itamponi, i medici di base e di guardia teoricamente potrebbero esseredei vettori ma il problema e' che i tamponi sono finiti". Cosi' aimicrofoni del programma 'In viva voce' di Rai Radio 1, Gabriele Lodi,medico di Codogno che lavora come guardia nel pavese ma che in questigiorni sta aiutando il padre, medico di famiglia, nel paese di Codogno,in provincia di Lodi, uno dei due focolai del Coronavirus. "Non ho lafebbre ma ho la tosse - ha raccontato - e potrei essere anche io unvettore ma il problema e' che i tamponi sono finiti. E senza ausilianche visitare le persone puo' essere un problema". Quindi, ha aggiunto:"Io ho chiesto di fare un tampone, ma ieri al 112 mi hanno detto che senon ho dispnea, cioe' se non sono affaticato a respirare e ho semplicetosse o febbricola, i tamponi non ci sono, e quindi devi aspettare adavere difficolta' respiratorie. Non basta essere medici e avere contattocon la gente, uno deve aspettare di avere difficolta' respiratorie perfare il tampone, quindi sono in lista d'attesa. E questo l'ho trovatopazzesco". "Hanno pensato a tamponare solo i medici che hanno avuto uncontatto diretto con il paziente numero 1 - ha continuato - e moltimedici di base adesso sono in quarantena in attesa del tampone". "Ilproblema non sono io che sono giovane - ha concluso - ma e' quello dipoter contagiare quando visiti altre persone, che magari sono piufragili".

Coronavirus, la rivolta dei medici: 'Mancano dispositivi di protezione' - Scoppia la rivolta dei medici dopo l'esplosione di casi di Coronavirus in Italia. "Non è ammissibile la mancanza di idonei dispositivi di protezione, adducendo un esaurimento scorte da industria manufatturiera, o di una strutturazione di triage pre-ospedaliero, con ambulanze dedicate e spazi idonei 'distinti e separati' dai pronto soccorso, che contrasti il fenomeno di accesso 'spontaneo' da parte di pazienti con sintomi respiratori per prevenire l'ovvio pericolo di diffusione del contagio in ambienti sovraffollati. Un solo malato ha fatto chiudere un ospedale ed ha contagiato cinque tra medici ed infermieri", denuncia l'Anaao-Assomed, principale sindacato dei medici ospedalieri. "Regioni e aziende sanitarie non pensino, però, di scaricare sulle spalle dei soli medici ospedalieri il peso di una organizzazione emergenziale alla quale devono partecipare tutti i settori della medicina pubblica - evidenzia il sindacato -. E comincino con l'assicurare una comunicazione tempestiva e puntuale, anche sul cronoprogramma organizzativo, a tutti i soggetti coinvolti, i quali non possono essere lasciati senza indicazioni ufficiali, anche sulla quarantena fiduciaria, o segregati senza generi di prima necessità".

Coronavirus, Cisl: Grave situazione ospedali, chiesto incontro a ministro Pa - "In momenti delicati come questi, dobbiamo certamente mettere da parte le polemiche per ritrovare quello spirito di grande fiducia e coesione nazionale, al cuore delle recenti dichiarazioni del Presidente della Repubblica, Mattarella". Lo scrive, sul proprio profilo Facebook, il segretario generale della Cisl Fp, Maurizio Petriccioli, riferendosi alla gestione del Coronavirus in Italia. "Ho ricevuto - prosegue, riferendosi alla gestione dei malati negli ospedali - numerosi messaggi da parte di chi sta operando nelle strutture lombarde. Colleghi che denunciano situazioni al limite della sopportabilità, con le lavoratrici, i lavoratori e i professionisti sanitari che stanno sostenendo, in queste ore turni da oltre 13 ore, chiusi negli ospedali da giorni per non rischiare di infettare, tornando a casa, i propri familiari. Nel resto d'Italia, anche in luoghi nei quali non si sta gestendo alcuna emergenza, le cose non vanno meglio, con i luoghi di pronto soccorso che devono gestire centinaia di persone che lamentano sintomi similari al coronavirus ma che non sono affetti dalla malattia. Adesso è il tempo, per le parti sociali, di mostrare una grande unità di intenti, remando tutti nella stessa direzione. Faremo la nostra parte, a cominciare dalla richiesta di confronto con il ministro della Pa, Fabiana Dadone, che speriamo possa esserci già nella giornata di oggi. Saremo responsabili come abbiamo sempre fatto ma lo diciamo fin da ora: non intendiamo fare sconti a chi continua a ritenere i servizi pubblici un costo, chiedendo poi sacrifici immani ai lavoratori quando dobbiamo affrontare emergenze o calamità naturali", conclude Petriccioli.

Coronavirus: virologo Galli, ecco perche' tanti casi in Italia - "Non e' affatto detto che in altri Paesi non possa capitare la stessa cosa". Sull'epidemia da coronavirus il professor Massimo Galli, ordinario di Malattie infettive all'Universita' degli Studi di Milano e primario del reparto di Malattie infettive III dell'Ospedale Sacco di Milano, in un'intervista al Corriere della Sera spiega che "da noi si e' verificata la situazione piu' sfortunata possibile, cioe' l'innescarsi di un'epidemia nel contesto di un ospedale, come accadde per la Mers a Seul nel 2015". E aggiunge: "Purtroppo, in questi casi, un ospedale si puo' trasformare in uno spaventoso amplificatore del contagio se la malattia viene portata da un paziente per il quale non appare un rischio correlato: il contatto con altri pazienti con la medesima patologia oppure la provenienza da un Paese significativamente interessato dall'infezione". Secondo Galli, pertanto, "l'epidemia ospedaliera implica una serie di casi secondari e terziari, e forse anche quaternari" percio' quel che resta da capire ora bene e' "come si e' diffusa l'infezione e come si diffondera'. Che poi la trasmissione sia avvenuta inizialmente davvero in un bar o in un altro luogo - aggiunge il medico - andra' verificato quando avremo a disposizione una catena epidemiologica corretta. Quello che si puo' dire di sicuro e' che queste infezioni sono veicolate piu' facilmente nei locali chiusi e per contatti relativamente ravvicinati, sotto i due metri di distanza". Pertanto e' verosimile che il virus si sia introdotto in Italia attraverso qualcuno che, dice il professor Galli, arrivato "in una fase ancora di incubazione, abbia sviluppato l'infezione quando era gia' nel nostro Paese con un quadro clinico senza sintomi o con sintomi molto lievi, che gli hanno consentito di condurre la sua vita piu' o meno normalmente e ha cosi' potuto infettare del tutto inconsapevolmente una serie di persone" ma "se l'avessimo fermato alla frontiera avremmo anche potuto non renderci conto della sua situazione". Percio' se cosi' tanti casi si sono sviluppati in Lombardia e Veneto lo si deve forse anche al fatto che "Lombardia e Veneto sono le regioni in cui sono piu' intensi gli scambi con la Cina per ragioni economiche e commerciali, e in cui c' e' inoltre un'importante presenza di cittadini cinesi" anche se non e' affatto detto che "a portare il virus in Italia sia stato un cinese, potrebbe essere stato anche un uomo d'affari italiano di ritorno da quel Paese". Purtroppo, dunque, con il primo paziente "non si e' potuto capire subito cosa avesse. Ora bisogna vivere normalmente seguendo le indicazioni delle autorita'.

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