Culture

“A complete unknown”: dal 23 gennaio al cinema il film su Bob Dylan interpretato da Timothée Chalamet

Il cast e il regista nella capitale per l’anteprima stampa, la première e uno speciale video promozionale sulla scalinata di Piazza di Spagna

di Chiara Giacobelli

Dal 23 gennaio al cinema il film su Bob Dylan interpretato da Timothée Chalamet

“Non è una pagina di Wikipedia, e neppure un film-documentario”. È così che il regista di A complete unknown ha presentato alla stampa, presso The Space Cinema di Piazza della Repubblica a Roma, il suo ultimo lavoro artistico. James Mangold – già noto per Wolverine e Indiana Jones, ma anche per film più impegnati come Ragazze interrotte, Cop Land e Le Mans ’66 - La grande sfida (Ford v Ferrari) – non ha dubbi sul taglio che ha voluto dare al lungometraggio prodotto da Searchlight Pictures e al cinema dal 23 gennaio, da noi distribuito da The Walt Disney Company Italia. Ambientato a partire dal 1961, il film racconta la tormentata vita e carriera di un talento inarrivabile, Bob Dylan, qui magistralmente interpretato da Timothée Chalamet. Un approfondito studio sull’artista che l’attore dice essere durato circa cinque anni, attraverso ricerche, incontri, letture e video di You Tube; quest’ultima fonte è stata, a quanto pare, molto utile anche per Edward Norton nei panni del cantautore Pete Seeger e Monica Barbaro in quelli di Joan Baez.


Anteprima stampa a The Space Cinema con cast e regista

“Il lavoro che hanno svolto gli attori per conoscere a fondo i protagonisti di questa storia, dal loro modo di parlare a quello di muoversi, atteggiarsi, vestirsi, pettinarsi, persino pensare, è stato talmente ampio e accurato che c’era il pericolo di far diventare certi mostri sacri della musica un ostacolo alla libertà personale e un limite alla recitazione” ha spiegato in conferenza stampa il regista James Mangold. Concetto che ha ribadito anche la Barbaro: “Se si finisce per essere ossessionati dalla grandezza di certi personaggi, specie quando sono ancora in vita, si tenta di arrivare alla perfezione, ma si rischia di perdere del tutto la propria voce. Questo film non intendeva essere un documentario, perché la Baez, che interpreto, è ancora viva e se vuole parlare di sé senza filtri può farlo in prima persona, così come Bob Dylan. Abbiamo cercato di essere umani nel girare le scene, abbiamo colto i momenti e credo si siano creati dei rapporti pieni, un’armonia orchestrata che arriva allo spettatore”.


 

Il modo giusto per approcciarsi a A complete unknown non è quindi quello dell’appassionato che va a ricercare il cavillo, ma sedersi in poltrona con la voglia e la capacità di lasciarsi andare, inseguendo la musica. Sì, perché la musica è la grande protagonista del film, con numerosissime scene che ripercorrono la carriera di Dylan: da quando si presentò, ancora diciannovenne ma già pieno di talento, nell’ospedale in cui era ricoverato il suo mito Woody Guthrie, sino al Newport Folk Festival del 1965, dove il cantante suonò per la prima volta con la chitarra elettrica Like a rolling stone. In quella occasione fu fischiato, insultato, gli lanciarono addosso oggetti di ogni genere, mentre chi lo aveva lanciato e promosso fino a quel momento – a cominciare dall’amico Pete Seeger, a cui Dylan doveva moltissimo – ne rimase profondamente deluso; eppure, l’album Highway 61 Revisited che uscì in quell’anno fu uno dei più ascoltati nella storia della musica.


 

Cos’era successo? Come altri prima di lui, Bob Dylan aveva percepito l’aria di innovazione e cambiamento che si stava respirando in quel preciso periodo storico: se da una parte questo segnò la fine dell’esplosione del folk e dell’innocenza degli anni Sessanta, dall’altra pose le basi per i decenni successivi, fatti di lotte politiche e avanguardie musicali. Era, in realtà, solo il primo grande strappo alle regole, al conformismo e alla tradizione, perché da allora in avanti furono molte le occasioni per Dylan di ribadire il suo porsi sempre in una posizione da outsider, intollerante a qualunque categorizzazione, tanto da rifiutare persino il Premio Nobel per la Letteratura quando gli venne assegnato. “Duecento persone in quella stanza e ognuna vorrebbe che fossi diverso. E invece io voglio essere così” dice Bob-Timothée al cantautore Bob Neuwirth appena conosciuto, che diventerà poi parte della sua band, nonché un caro amico. Lui gli chiede: “Così come?” e Dylan risponde, per l’appunto: “Come qualunque cosa non vogliano che io sia”.

Nei suoi panni Timothée Chalamet non poteva essere più perfetto: l’attore, amatissimo dal pubblico di tutto il mondo – fan in delirio alla première romana e quasi solo per lui le domande della stampa –, ha saputo cogliere l’interiorità e le contraddizioni di un personaggio affatto facile da interpretare, che peraltro non ha mai voluto concedergli un’intervista o un incontro per aiutarlo a entrare nel ruolo. “Anche se non ho vissuto il fermento di quegli anni, mi hanno profondamente influenzato figure come la sua, o come altri grandi artisti del tempo – ha detto Chalamet alla stampa – era un’epoca di ottimismo, sincerità, valori etici che oggi sono andati per buona parte persi. Tuttavia, le generazioni di adesso sono chiamate a sfide ancora più ampie, difficili, perché si trovano a dover combattere contro un cinismo dirompente. Se un film dei nostri anni tratta tematiche complesse, poetiche o anche politiche, il pubblico tende ad alzare gli occhi al cielo”.
Su questo concetto è voluto tornare anche il regista Mangold, che ha fatto notare quanto ormai “viviamo in una totale anestesia: la maggior parte delle cose che accadono nel mondo o vicino a noi neppure ci disturba più, tanto che i registi sono tentati di andare verso un cinema più compiacente. Se una volta l’arte era un modo per far riflettere e sfidare, adesso la cultura moderna banalizza qualunque cosa, mentre le persone condividono con l’esterno attraverso i social ogni momento della vita, con l’unico risultato di perderne la magia”.


Timothée Chalamet alla première italiana

Non è mancato l’amore nella vita di Dylan, ovviamente inquieto anche quello, e non manca neppure in A complete unknown, sebbene di fatto non vi sia neanche una scena di sesso: il focus non è infatti mai nella passione sensuale, ma sempre nella complicità artistica che lega anime e corpi attraverso il potere della musica. Il giovane scapestrato, irascibile e caotico Bob fa innamorare di sé proprio grazie alle sue canzoni e al talento innato la dolce, raffinata e pura Sylvie Russo, interpretata da Elle Fanning: di fatto, sarà la costante presenza solida e matura nella vita dell’artista, per lo meno fino a quando lei non deciderà di lasciarlo definitivamente, liberandosi da un legame che produceva picchi estremi di felicità, ma anche molto dolore. Ed è probabilmente così che nacque It ain’t me babe: «Go ‘way from my window / Leave at your own chosen speed / I’m not the one you want, babe / I’m not the one you need / You say you’re lookin’ for someone / Never weak but always strong / To protect you an’ defend you / Whether you are right or wrong / Someone to open each and every door / But it ain’t me, babe / No, no, no, it ain’t me, babe».

Il brano fu cantato in un toccante duetto da Dylan e Joan Baez sul palco del Newport Folk Festival: con lei la storia si ripeté, perché, nonostante la profonda stima e sintonia artistica, lui la lasciò per poi ricercarla più volte, fino a quando non fu anche in questo caso lei a chiudere del tutto. Applaudito dal mondo intero, all’apice della fama, adorato dalle donne e richiesto dai maggiori produttori, Bob-Timothée si sente solo come mai prima, talvolta perso, spesso malinconico, sigaretta in mano e la chitarra come unica compagna di vita. «Hey, Mr. Tambourine Man, play a song for me / I’m not sleepy and there is no place I’m going to (…) I have no one to meet /And the ancient empty street’s too dead for dreaming».

Un film intenso, coinvolgente, veritiero anche se non è un documentario; due ore e venti minuti che strappano qualche lacrima, emozionano e ci portano indietro a un passato che qualcuno ricorderà meglio di altri, aprendo il sipario sulla vita, la carriera, i pensieri e la personalità di uno tra i più grandi artisti del Ventesimo secolo. La critica ha già definito A complete unknown “elettrico, ipnotico, magistrale, brillante, superbo, sorprendente, magnifico”, e lo è; tuttavia, alla domanda di un giornalista in merito all’endorsement che gli abbia fatto più piacere, Chalamet ha risposto ironicamente: “Aspetto quello di Francesco Totti”, per poi prodigarsi in vari “Forza Roma”. Non è mancata la reazione dello stesso Totti, che in un video lo ha salutato da New York e gli ha promesso che appena rientrato sarebbe andato a vedere il suo grande film.


 

Il regista James Mangold e il cast composto da Timothée Chalamet, Edward Norton e Monica Barbaro si è trattenuto nella capitale per l’anteprima italiana, andata in scena in collaborazione con la Fondazione Musica per Roma all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, alla presenza di molti volti noti dello spettacolo, della musica e del web; tra questi Valeria Golino, Alessandro Borghi, Matilda De Angelis, Benedetta Porcaroli, Carolina Crescentini, Giorgia Soleri e altri. La versione italiana del film vede le voci di Alex Polidori (Bob Dylan), Ludovica Bebi (Joan Baez), Margherita de Risi (Sylvie Russo), Massimiliano Manfredi (Pete Seeger) e Andrea Mete (Johnny Cash); a proposito di quest’ultimo, ricordiamo che il regista si era già cimentato con successo in un film “biografico” di stampo musicale dedicato proprio a Johnny Cash, con cui aveva ottenuto la prima candidatura all’Oscar: si tratta di Quando l’amore brucia l’anima - Walk the Line, interpretato nel 2005 da Joaquin Phoenix e Reese Witherspoon nei panni della coppia Cash e June Carter, protagonisti di un’infuocata e turbolenta storia d’amore.

Prima di lasciare Roma, Timothée Chalamet, Edward Norton e Monica Barbaro, insieme al regista, sceneggiatore e produttore James Mangold, hanno girato uno speciale video sulla scalinata di Piazza di Spagna per celebrare A Complete Unknown. L’uscita del film in sala il 23 gennaio è anche l’occasione per riportare in libreria con nuova veste grafica il libro Il giorno che Bob Dylan prese la chitarra elettrica di Elijah Wald (Vallardi Editore), chitarrista folk blues tra i più eminenti critici musicali americani, vincitore di un Grammy Award e scrittore. È infatti al suo romanzo-biografia che il regista si è ispirato per realizzare il film.