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Culture
Jeff Koons, a Firenze in mostra la sua lucentezza abbagliante e kitsch
Tulipani, 1995 98

Jeff Koons è l’artista vivente più “caro” al mondo: il suo Rabbit ha realizzato in asta nel 2019 oltre 91 milioni di dollari ed è considerato un’icona dell’arte del XX secolo

È proprio vero che l’amore è una cosa meravigliosa. E anche che è del tutto cieco. Altrimenti come si spiegherebbe il matrimonio tra un importante artista contemporaneo americano e una pornodiva ungherese di stanza in Italia, nemmeno bellissima?

Eppure alla Biennale di Venezia del 1990 Jeff Koons espose, nell’installazione Made in Heaven, foto e sculture ad altezza naturale di sé stesso durante gli amplessi con Ilona Staller, in arte – si fa per dire – Cicciolina. L’improbabile unione durò circa un anno, con successivi duri duelli legali e strascichi infiniti, legati anche alla custodia del figlio Ludwig Maximilian.

Però la carriera dell’artista ebbe un’impennata mediatica formidabile e una visibilità mondiale al tempo ancora in fieri. Il pregio di Koons fu di alimentarla sempre a livelli altissimi, grazie a un’abilità innata nel combinare alto e basso, riferimenti alla storia dell’arte universale – per lui è stato coniato l’appellativo di “nuovo Michelangelo” – e provocatorie citazioni dall’universo più consumistico, fondendo nelle sue opere pop, concettuale e postmoderno in un connubbio immediatamente piacevole anche per i più distratti.

Tant’è che ormai è diventato l’artista vivente più “caro” al mondo: il suo Rabbit, un giocattolone di metallo alto un metro, ha realizzato in asta nel 2019 oltre 91 milioni di dollari ed è considerato un’icona dell’arte del XX secolo, invitante e impassibile, infantile e iper sessuale, tangibile e immateriale.

Tutto è partito alla fine degli anni 70, quando iniziò la carriera mettendo in mostra  aspirapolvere o teiere dentro bacheche illuminate da neon oppure trenini in acciaio inossidabile composti da vagoni pieni di bourbon, ovvero rivisitazioni aggiornate e corrette (per certi versi lo saranno anche molte opere successive basate su gonfiabili oppure su fumetti) del ready made di Marcel Duchamp.

E lo presenta benissimo l’importante retrospettiva, intitolata Shine, aperta al Palazzo Strozzi di Firenze fino al prossimo 30 gennaio, in un bell’allestimento che inizia con la Ballon Monkey blu posta nel cortile, ingrandimento di quasi 4 metri di altezza e del peso di circa 5 tonnellate di una scimmietta fatta con un palloncino gonfiabile.

Un universo iper pop, patinato e luccicante (shine indica “lucentezza, lustro, riflesso, splendore”), apoteosi della lezione di Andy Warhol e dell’ambiguità contemporanea giocata sul filo del rasoio tra essere e apparire, fatto di opere accattivanti e rassicuranti, immediate e appariscenti, superficiali e glamour. Koons ama le superfici traslucide, utilizza metalli, plastiche e ceramiche smaltate, per raffigurare, in un progressivo aumentare delle dimensioni, cuori impacchettati, delfini volanti, alcune tele giganti di Tulipani e di Pane con uovo, passerotti giganti, Hulk urlante che suona una megatuba, l’aragosta con il viso di Salvador Dalì (incontrato dal Nostro a New York nel 1974, non senza riceverne spunti innovativi) e anche la Caccia alla tigre rubensiana, Proserpina desnuda e copie in plastica di statue classiche con l’aggiunta di una sfera di vetro blu.

Opere realizzate sempre con assemblage ai limiti del kitsch, ma che, giocando con l’iperbole iperrealista, con vari livelli di significato, con le dimensioni ludica, erotica, impertinente, citazionista,  arrivano a sfiorare il surreale per catturare la vita, criticare il consumismo e insieme suggerire il sogno e l’introspezione.

Jeff Koons, Shine

Palazzo Strozzi – Piazza Strozzi, Firenze

orario: 10/20 (giovedì 10/23)

biglietti: € 15; ridotto € 12 (over 65, under 30, convenzioni); ridotto € 5 (ragazzi dai 6 ai 18 anni compresi);

gratuito per under 6, portatori di handicap con accompagnatore e guide.
 

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