Tutti quei frammenti svelano gli intenti - Affaritaliani.it

Culture

Tutti quei frammenti svelano gli intenti

di Fabio Isman

 

Dietrich von Bothmer (1918-2009) è stato archeologo fondamentale e in molti sensi. Antinazista, fugge dalla Germania; a Oxford diventa il collaboratore più stretto di sir John Beazley, il più grande studioso al mondo di vasi attici; e poi, per sessant’anni, “curator” al Met - Metropolitan Museum of Art di New York. La massima autorità nel settore dell’arte greca e romana. Gli si deve, per esempio, la storica mostra Capolavori di Euphronios: un pioniere della ceramografia attica che nel 1990, ad Arezzo (Museo archeologico nazionale Gaio Cilnio Mecenate, 26 maggio - 31 luglio) ma soprattutto a Parigi e a Berlino, ha pressoché raddoppiato l’entità del catalogo dedicato al ceramista ateniese Eufronio: con tanti inediti, spesso però provenienti da scavi di frodo nel nostro paese. Perché, forse per amore della scienza, delle scoperte, delle attribuzioni in cui era un maestro, Von Bothmer non ha mai guardato troppo per il sottile. È il primo ad accreditare negli Stati Uniti Jiri Frel, che sarà a lungo “curator” del Getty (ne verrà cacciato per aver gonfiato tante “donazioni”: spesso non lo erano); e tra i primi a vedere il famoso cratere di Eufronio con la Morte di Sarpedonte, ora tornato a Villa Giulia a Roma. Sapeva che era stato clandestinamente estratto a Cerveteri, e mai nessun pezzo antico era stato comperato da un museo per un milione di dollari (era il 1972); la vendita darà la stura alla “grande razzia”: un milione e mezzo di pezzi scavati in Italia, calcola l’Università di Princeton(1). Nel 2004, la sentenza del Gup Guglielmo Muntoni contro Giacomo Medici (il maggior trafficante di beni estratti dai tombaroli nel Centro Italia), condannato a otto anni dalla Cassazione, lo cita novantadue volte.

Artedossier

 

Von Bothmer se n’è andato a novant’anni e ha lasciato al Metropolitan la propria collezione. Una parte è stata appena inserita dal museo nell’elenco delle antichità dalla dubbia provenienza, creato nel 2008 dai direttori di museo americani: oltre diecimila frammenti di vasi «greci e italiani». Un accordo con il Ministero per i Beni e le attività culturali permetterà di studiarli; se collimeranno con quelli esistenti in un qualche  museo gli saranno consegnati. Si apre quasi una caccia al tesoro. E neppure per la prima volta: quaranta frammenti erano già stati rispediti in Italia dal Met a gennaio 2012, anch’essi parte dell’eredità di Von Bothmer, ricevuti da Edoardo Almagià, archeologo e mercante trapiantato a New York, sotto indagine da qualche anno.

Anche il Getty ha restituito dei frammenti: è una storia incredibile, tutta da raccontare. Nel 2007, il museo americano ha consegnato all’Italia trentasette pezzi, alcuni straordinari. Come il “trapezophoros”, marmoreo e policromo sostegno di una tavola rituale del IV secolo a.C., parte dell’arredo di una tomba, alto un metro e lungo uno e mezzo, con due grifoni che sbranano una cerva: un oggetto unico al mondo; o la “lekanis”, piatto anch’esso di marmo per le offerte, dipinto con Le nereidi che portano le armi di Achille forgiate per lui da Efesto, pure privo di simili in qualsiasi collezione; indagini successive lo fanno credere un “podanipter”, un tipico bacile per lavarsi i piedi. Il Getty aveva pagato le due opere rispettivamente cinque milioni e mezzo e due milioni di dollari, nel 1985, a Maurice Tempelsman, magnate dei diamanti e ultimo compagno di Jacqueline già Kennedy e Onassis; e, in un appunto celato ai giudici italiani, il museo spiega d’aver subito saputo che erano provento rapinoso dal sottosuolo della penisola. Nel 1995, del “trapezophoros” ancora lordo di terra si trovano le immagini, subito dopo lo scavo, nel deposito segreto in Svizzera di Giacomo Medici; i carabinieri appurano che lo scavo è avvenuto nel 1976 ad Ascoli Satriano, e a questi marmi ormai restituiti ne allegano altri, allora sequestrati dalla Finanza e dimenticati. L’archeologo Angelo Bottini certifica che si tratta di vasi di marmo pieni, usati venticinque secoli fa per la prima volta in funzione architettonica.

Bene: un paio d’anni fa, il Getty si è «accorto» che nei suoi depositi, da sempre inaccessibili a ogni richiesta di visionarli, deteneva centocinquanta frammenti dell’arredo «di quella tomba» e appunto li consegna, spiegando di averli ricevuti in dono nel 1988 da Robin Symes, allora, a Londra, il più grande mercante internazionale di antichità (spesso illecite). Symes aveva venduto lui a Tempelsman “trapezophoros” e “lekanis”, come monadi ormai senza radici, e altri capolavori poi finiti al Getty: ma i brandelli se li era tenuti da parte, non si sa mai che gli fossero potuti diventare utili.

Perché la singolarità è questa: praticamente, non esiste un mercato ufficiale di frammenti; dal 1996 al 2005, ne sono passati in asta appena ventiquattro in ventitre sedute, in cui sono invece comparsi 1.619 vasi italiani e greci, a Londra e New York(2). Non solo: ma dal 1984 al 1993, il Getty ha acquisito almeno 1.091 lacerti di vasi, di cui 119 in dono proprio da Von Bothmer. Perché, tra le tante novità, la “grande razzia” inaugura anche una pratica inedita: la vendita a rate dei reperti. Non nel senso che un museo li paga un poco per volta, bensì perché li riceve pezzo dopo pezzo; e a cifre, si intende, sempre più care. Il caso più clamoroso è la “kylix” forgiata da Eufronio, però firmata da Onesimos come pittore, con scene della caduta di Troia, anch’essa ormai esposta al museo etrusco di Villa Giulia a Roma; e accanto alla quale Medici, durante una vacanza negli Stati Uniti, al Getty, dove il pezzo era conservato si fa impudicamente fotografare: è il trionfo di un cacciatore con una sua preda. Al centro, ha l’uccisione del vecchio re Priamo davanti alla figlia Polissena e al piccolo Astianatte, per mano di Neottolemo, il figlio di Achille. Agli inizi degli anni Ottanta, è trafugata da Cerveteri; il Getty l’ha restituita nel 1999, dopo che nella città etrusca erano stati trovati tre frammenti combacianti. Il museo aveva ricomposto la metà del piatto dal 1983 al 1990, in sei tranches successive; la seconda, che forse invogliava a proseguire gli acquisti, regalo di Von Bothmer; e a restituzione già avvenuta, Medici consegna al Pm tre brandelli, ormai inservibili, proprio di questa “kylix”; a Ginevra, aveva le foto di quelli già al Getty, prima del loro restauro, appena scavati.

Von Bothmer ha donato anche altri lacerti di crateri ai musei americani; per esempio, di un vaso del Pittore di Berlino che il Getty acquisisce in ottantaquattro frammenti tra il 1977 e il 1990. Oltre ai doni dello studioso, trentacinque comperati da Medici; altri trovati – guarda caso – in una cessione di quasi duecento «frammenti misti di vasi» nel 1988; gli ultimi degli ottantaquatro, restituiti dalla “curator” del museo californiano, Marion True, a Medici stesso, che li aveva inclusi in una vendita poi non finalizzata; anni dopo, gli stessi frammenti arrivano a Malibu, ma da Symes, forse perché i venditori nella Razzia sono intercambiabili; il Getty ha restituito il cratere, ma non questi ultimi lacerti: li ha consegnati a Symes, dicendo di averli avuti in prestito. Nella Razzia, gli insulti alla cultura si sprecano: anche quelli ai più fondamentali criteri dell’unitarietà dell’opera.

Gli studiosi coinvolti nel saccheggio chiamavano i frammenti «gli orfanelli». In almeno un caso, sono perfino causa di litigio; proprio Von Bothmer protesta con un altro studioso e ottiene da lui uno scambio: gli «orfanelli» appartengono a chi inizia per primo ad assemblare il vaso(3). Ora, gli archeologi sono alle prese con questi “puzzle”. Angelo Bottini, Pier Giovanni Guzzo e Stefano Gasparri studiano i frammenti di Ascoli Satriano; tra quelli restituiti dal Met, nonostante ne siano ancora note poche foto, il ricercatore di Cambridge Christos Tsirogiannis è riuscito a farne combaciare uno di un cratere a figure rosse del Pittore di Euaion, ateniese, del V secolo a.C., con un altro a Villa Giulia dal 1913, pubblicato negli archivi Beazley, che collima in modo perfetto; raffigura un satiro con un “kantaros” e una menade. «Altri frammenti dell’artista», spiega un altro docente inglese, David Gill, «sono nella collezione di Von Bothmer, e altri ancora li ha donati al Getty e al Met, che ha anzi ricostruito un vaso proprio con i suoi brandelli. Ma lacerti suoi sono anche a Dresda e Parigi; la loro fonte è, ovviamente taciuta». Però, la caccia al tesoro è appena iniziata; e chissà che altre sorprese regalerà; chissà anche quando e come il frammento di Villa Giulia è stato separato dal resto del vaso, e se il Met ora restituirà il suo: i misteri sono infiniti.

 


Note

(1) W. Barksdale Maynard, Art museum curator targeted by Italian prosecutors, in “Princeton Alumni Weekly”, 7 luglio 2010, cfr. http://paw.princeton.edu/issues/2010/07/07/pages/8023/index.xml

(2) P. Watson, C. Todeschini, The Medici Conspiracy, The illicit journey of looted antiquities from Italy’s tomb raiders to the World’s greatest museums, New York 2007, p 221 sgg.

(3) F. Isman, I predatori dell’arte perduta, Milano 2009, p. 153.