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Culture

La crisi economica è la crisi di tutti noi: dei giovani che non trovano lavoro e di quelli che lo perdono, ma anche degli imprenditori che chiudono le loro attività. "Vivere la filosofia", il nuovo libro di Moreno Montanari invita a trovare nella storia del pensiero e nel suo metodo una possibile risposta, rielaborando il concetto per cui l'uomo a differenza dell'animale non si accontenta di accettare la realtà come data, ma grazie al ragionamento si interroga su di essa e va oltre, sforzandosi di trasformare la propria visione del mondo e il proprio modo di vivere sulla base del risultato di quelle riflessioni. In questo modo ognuno di noi, diventando filosofo, può elaborare un via d'uscita dalla crisi come strumento di trasformazione di noi stessi e della nostra società.

Secondo Umberto Galimberti (che ha recensito il libro) stiamo attraversando un periodo di crisi oggettiva e soggettiva. La crisi oggettiva è determinata dal fatto che le leggi del mercato confliggono con il mondo della vita: dai giovani che non trovano lavoro, agli occupati che lo perdono, dagli imprenditori che chiudono le loro imprese, all'aumento progressivo e generalizzato della soglia dalla povertà. E la domanda che spontanea e drammatica sorge è quella del filosofo Franco Totaro: "Ma i fini dell'economia sono anche i nostri fini?".

La crisi soggettiva è determinata dalla rassegnazione generalizzata, perché il conflitto non è più tra imprenditori e lavoratori, perché sia gli uni che gli altri si trovano dalla stessa parte e han- no come controparte il mercato. E come fai a prendertela con il mercato? Il mercato è nessuno, anche se il filosofo Romano Madera ci ricorda che, come leggiamo in Omero: "Nessuno è sempre il nome di Qualcuno", ma questo Qualcuno non è identificabile.

E BAUMAN...

"Le città contemporanee sono una sorta di bidoni della spazzatura, dentro i quali i poteri globali lasciano cadere i problemi affinché vengano risolti. Per esempio, le migrazioni di massa sono un fenomeno globale, causato da meccanismi globali. Siamo tutti cittadini della città. Siamo tutti coinvolti nel compito di risolvere questi difficili interrogativi con cui dobbiamo confrontarci".
 
Nell’era della globalizzazione, che appiattisce e uniforma il pensiero e il linguaggio, la solitudine e il disagio individuale sono sempre più diffusi. Si fanno strada il bisogno di aggregazione volontaria e il riconoscimento reciproco su fondamenti comuni, per quanto problematizzati dalla necessità di un’integrazione culturale e razziale. Di fronte a questo "mondo liquido", caratterizzato da incertezza, precarietà, isolamento, Zygmunt Bauman riporta l'attenzione sulle relazioni sociali e sulla comunità perduta. Quella comunità che Ferdinand Tönnies, alla fine del XIX secolo, aveva indicato come inconciliabile con la società moderna. Lo fa nel libro Communitas a cura di Carlo Bordoni (Aliberti Editore).

Bauman Bordoni Communitas 1

 

INTERVISTA A CARLO BORDONI

Nel libro si legge un paragone allarmante: le città contemporanee come bidoni della spazzatura, in che senso?

Un paragone allarmante, è vero, ma molto efficace, perché rende bene l'idea del distacco tra i poteri globali e le politiche locali, su cui Bauman insiste da tempo. Le città stanno pagando il prezzo di questo scollamento tra potere e politica, si vedono piovere addosso come spazzatura i grandi problemi che la globalizzazione ha provocato, ma che non riesce a risolvere. Come nell'esempio delle migrazioni: è un problema globale, ma poi sono le città a doverlo affrontare, spesso senza averne i mezzi e le competenze. Affinché le città smettano di essere i bidoni della spazzatura della globalizzazione, bisognerebbe che a problemi globali si rispondesse con soluzioni globali. La politica, insomma dovrebbe "salire" di livello. Per il momento, invece, ci si limita a "salire" in politica.

Che ruolo e che significato assume la communitas?

Ci sono almeno due libri di Bauman sul tema della comunità. Voglia di comunità del 2001 e Cose che abbiamo in comune del 2010, dimostrazione dell'importanza che dà allo stare insieme, che è poi il fondamento di ogni civiltà. Mentre per Victor Turner communitas e societas finiscono per unirsi, mi sembra che Bauman riscatti l'autonomia di comunità, attribuendole un'importanza inalienabile. Dice, in sostanza, che mentre la società è fluttuante, insicura, talvolta persino inquietante, la comunità è un punto di riferimento sicuro a cui si può sempre tornare per ritrovarci. Questo perché dal luogo in cui si è nati proviene la nostra cultura, la nostra formazione. Una sorta di imprinting che ci accompagna per tutta la vita. Anche se facciamo di tutto per allontanarci, per avere nuove esperienze, crescere e differenziarci, restiamo pur sempre legati a quel luogo. Ma, ricorda Bauman, la comunità è esigente: "Registra tutti coloro che ne fanno parte e impone loro una serie di condizioni". Riduce la libertà, ci controlla e ci giudica, fino a punirci se compiamo errori. Però infonde sicurezza. Ed è di sicurezza che abbiamo bisogno. La rete rappresenta la nuova comunità, dove si concentra il bisogno di essere vicini, con il vantaggio di farci sentire più liberi, perché possiamo uscirne quando vogliamo. Però è più fragile e "liquida" dei rapporti sociali in presenza. Quindi una rivalutazione di comunità rispetto alla società, seguendo le orme di Nietzsche e di quel Ferdinand Tönnies che sull'opposizione tra Kultur (comunità) e Zivilisation (società) ha scritto pagine esemplari.

Bauman Bordoni Communitas 2

 

E in Italia in particolare come può essere declinata questa visione?

L'Italia rientra nella condizione generale propria dei paesi occidentali, con un'aggravante in più, l'accentuata propensione per l'antipolitica. Qui più che altrove si assiste all'affermazione di movimenti che rivendicano una "democrazia diretta", cioè la partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica senza l'intermediazione dei partiti. Sembra quasi il recupero di certi aspetti positivi della comunità, come la coscienza dei propri diritti, la comunanza, il rapporto diretto tra le persone, l'entusiasmo di fare qualcosa assieme per il bene di tutti. Ma ha anche il difetto di cadere facilmente nel populismo, cioè nell'esaltazione emotiva degli istinti, nell'aggressività, nell'irrazionalità, nell'affidamento a un capo carismatico, che sono poi il lato oscuro dell'idea di comunità. La sua maledizione storica che la porta ad essere la matrice dell'autoritarismo e del totalitarismo. Non dimentichiamo che il nazismo, nella sua ricerca di giustificazioni ideologiche, si è richiamato ai principi della comunità, stravolgendoli e piegandoli a finalità devastanti.

La società, seppur sempre liquida, sta cambiando le sue caratteristiche secondo Bauman?

Non mi sembra vi siano sostanziali cambiamenti, rispetto a quanto osservato da Bauman in precedenza, se non che assistiamo a un progressivo irrigidimento del controllo personale, come reazione all'insicurezza. La società, proprio perché liquida, perde le sue garanzie di libertà individuale (anche questa era una caratteristica della modernità) e si fa sempre più "restrittiva", quasi recuperando quel controllo personale, ossessivo, che era proprio della comunità. Lo spiega in un volume che non è ancora stato tradotto in italiano, Liquid Surveillance (2013), scritto assieme a David Lyon. Malgrado Bauman consideri "moderna" questa liquidità esistenziale in cui stiamo galleggiando, ho il sospetto che l'epoca moderna, in realtà, sia finita da un pezzo e che quello che stiamo vivendo sia un interregnum o una nuova modalità sociale ancora senza nome.

 

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