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Economia
Agromafie, 180mila lavoratori a rischio sfruttamento e non più solo al Sud

Sono circa 180mila i lavoratori vulnerabili ed esposti a fenomeni di sfruttamento e caporalato in Italia. Ad aggiornare le stime è l’ultimo - il quinto - Rapporto Agromafie e caporalato a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil presentato oggi, 16 ottobre, a Roma. Come i precedenti rapporti, lo studio fotografa la situazione degli ultimi due anni (ottobre 2018-ottobre 2020) in merito allo sfruttamento lavorativo nel settore agro-alimentare e le criticità dei rapporti di lavoro dovute a “contratti ingannevoli e a raggiri perpetuati a danno dei lavoratori”, spiega la Flai Cgil. “A livello nazionale l’Osservatorio Placido Rizzotto ha prodotto delle nuove stime che seguono quelle effettuate nei rapporti precedenti - si legge nel report -. L’ultima delle quali faceva ammontare la componente vulnerabile a circa 140.000 unità (al 2017). L’anno successivo (2018) anche il Ministero del Lavoro produce una stima al riguardo, che ammonta a circa 160.000. Nel biennio 2018/2019 L’Osservatorio sposta ancora più in alto la stima, portandola a circa 200.000 unità. Cosicché queste componenti oscillano tra una stima minima di 160.000 e una massima di 200.000 e prudenzialmente possiamo attestarla a 180.000 unità”.

Un fenomeno che non riguarda più soltanto il Sud Italia, come sottolinea Giovanni Mininni, segretario generale della Flai-Cgil. “I fenomeni di sfruttamento, lavoro sommerso e caporalato non sono più appannaggio esclusivo di quelle regioni del Mezzogiorno - scrive Mininni -, ma anzi li ritroviamo anche in alcune aziende della ricca agricoltura della Franciacorta o del veronese”. Per Mininni, i confini di questa “agricoltura malata” si sono “estesi all’intero territorio nazionale - aggiunge -. E così, in questa estate 2020, le cronache e i media hanno riportato i fatti relativi all’operazione Demetra, un maxi arresto per reati di sfruttamento, caporalato e intermediazione illecita di manodopera tra Basilicata e Calabria che ha coinvolto 14 aziende e circa 60 persone, ma anche il caso della Straberry, startup di un rampante imprenditore milanese dove la Guardia di Finanza ha scoperto braccianti africani costretti a lavorare per più di 9 ore al giorno a 4,50 euro l’ora, immigrati assunti con contratti di soli due giorni, anomalie nella trasparenza delle buste paga e delle assunzioni, totale mancanza di misure di sicurezza anti-Covid”.

A fare un quadro dello sfruttamento a livello nazionale all’interno del Rapporto è il contributo di Emilio Santori e Chiara Stoppioni che riportano il lavoro fatto ad oggi dal Laboratorio sullo sfruttamento lavorativo e sulla protezione delle sue vittime, nato nel 2018 dal Centro di Ricerca interuniversitario L’Altro diritto e la Flai-Cgil con l’obiettivo di analizzare il funzionamento degli strumenti giuridici attualmente a disposizione per combattere il fenomeno dello sfruttamento lavorativo. “Nonostante sia convinzione comune e radicata che lo sfruttamento si concentri nel Meridione - scrivono Santori e Stoppioni -, su 260 procedimenti monitorati dal Laboratorio, più della metà, per l’esattezza, 143, non riguardano il Sud Italia. Tra le Regioni più colpite, oltre alla Sicilia, alla Calabria e alla Puglia, vi sono il Veneto e la Lombardia: le Procure di Mantova e Brescia stanno seguendo, ciascuna, ben 10 procedimenti per sfruttamento lavorativo. Allarmante anche la situazione dell’Emilia Romagna, in cui lo sfruttamento è diffuso in tutte le province; del Lazio e, in particolare, della provincia di Latina; e della Toscana, dove il maggior numero di procedimenti è incardinato presso il Tribunale di Prato”.

Secondo i due ricercatori, inoltre, “gran parte delle condotte di sfruttamento rimane sommersa - scrivono nel rapporto -: esistono massicce sacche di sfruttamento in altre aree della regione come, ad esempio, il chianti, il senese, il grossetano e il pisano, dove è frequente lo sfruttamento di cittadini pakistani impiegati nella lavorazione del cuoio. Ci sono poi giunte numerose segnalazioni che riguardano l’area metropolitana di Firenze, dove molti imprenditori cinesi hanno spostato la loro produzione perché nella Provincia di Prato i controlli svolti nell’ambito del Piano Regionale Lavoro Sicuro sono molto più frequenti e pervasivi”. Inoltre, scrivono ancora Santori e Stoppioni, “anche se dalla legge 199 sembra che lo sfruttamento lavorativo riguardi pressoché esclusivamente il lavoro agricolo, su 260 inchieste monitorate, sono ben 97 le vicende che riguardano comparti produttivi diversi, molte delle quali di competenza di Procure del Centro e del Nord Italia. L’agricoltura è sicuramente il settore maggiormente rappresentato (sono 163 i procedimenti seguiti in cui le presunte vittime venivano impiegate nella raccolta e trasformazione di frutta e verdura). Ma, al tempo stesso, emerge che lo sfruttamento interessa ogni attività che non richiede un alto grado di specializzazione e in cui la domanda di lavoro è superiore all’offerta”.

Per Mininni, quello dello sfruttamento e del caporalato, è “un vero e proprio sistema economico parallelo che viene scelto da alcune imprese per competere in modo sleale e nel quale incappano lavoratori italiani e stranieri - scrive il segretario generale nell’introduzione -. In tutto questo, non possiamo non ricordarlo, si è innestata da febbraio l’emergenza Covid-19, che ha determinato un aumento della fragilità di questi lavoratori, ricattati al di sopra anche delle norme di tutela della salute pubblica”. Secondo il segretario generale della Flai Cgil, le istituzioni possono e devono fare di più. “Una norma specifica esiste e potrebbe fare la differenza - aggiunge Mininni -. La Flai-Cgil ha fortemente sostenuto l’approvazione della Legge 199 del 2016 e si è battuta per la sua applicazione. Tuttavia non possiamo non stigmatizzare la grande carenza da parte delle istituzioni nell’applicazione della sua parte preventiva, in particolar modo per quanto riguarda la gestione del mercato del lavoro in agricoltura”.  Per Mininni è questo il “nodo fondamentale su cui agire per spezzare” la filiera criminale. “Ancora oggi, a distanza di quattro anni, assistiamo ad una risposta tiepida, quando non inesistente, rispetto all’applicazione delle sezioni territoriali della Rete del Lavoro Agricolo di Qualità - denuncia Mininni -, che invece erano e restano il cuore del provvedimento. L’insediamento delle sezioni è pressoché fermo e quelle operative si contano sulla punta delle dita di due mani: occorre invertire la rotta, immediatamente, per strappare la gestione dell’incontro tra domanda ed offerta di lavoro dalla rete dei caporali e delle aziende che li utilizzano e prevedere un efficace sistema di trasporti sui luoghi di lavoro, nella legalità ed in sicurezza”.

Sottolinea il debole intervento da parte delle istituzioni sul piano dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro Giovanni Salvi, procuratore generale Corte Suprema di Cassazione che nel rapporto scrive: “Non funziona il meccanismo di incontro tra domanda e offerta. Ciò è ben affermato nel Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato, 2020-2022, che di conseguenza pone l’obiettivo del rafforzamento dei Centri per l’Impiego. Questo non basta, perché non può fare emerge il lavoro strutturalmente irregolare. La sfida è dunque di costruire questo meccanismo su ciò che si ha e dunque intorno alle organizzazioni datoriali e dei lavoratori, intorno agli enti locali e ai soggetti interessati alle politiche sociali e di sicurezza”. Per Salvi, questo approccio “contrasta il caporalato alla sua base, privandolo della opportunità di controllo del mercato del lavoro derivante dalla intermediazione illecita e dalla fornitura di "servizi", come alloggio, vitto e trasporto, che sono i principali strumenti di controllo”. Secondo il procuratore generale, inoltre, le risorse non mancherebbero. “I Pon Legalità e Sicurezza hanno fondi a sufficienza per supportare lo sforzo già avviato nel territorio - scrive Salvi -. Non vi sono però bacchette magiche e soprattutto nessuno strumento funzionerà se non partendo dalla realtà delle cose. Il trasporto pubblico, ad esempio, quale sostitutivo di quello del caporale, non può essere l’allungamento di una linea urbana ma deve necessariamente partire dalla realtà del trasporto dal luogo di vita a quello di lavoro, negli orari in cui ciò avviene nella realtà della vita delle persone”. 

Con il rapporto presentato oggi, conclude Mininni, “la Flai-Cgil rinnova la volontà non solo di contribuire attraverso la ricerca e l’indagine alla conoscenza del lavoro agricolo e delle forme di sfruttamento in esso presenti, ma anche di stimolare le tante forze positive del nostro Paese per una battaglia comune per la legalità e l’affermazione dei diritti - scrive il segretario generale della Flai Cgil -. Crediamo fermamente che ciò sia possibile e non ci stancheremo mai di perseguire questo risultato. Lo dobbiamo ai tanti Placido Rizzotto rimasti sconosciuti perché non ricordati dalla storia, lo dobbiamo a Singh Gurjant, morto l’8 settembre 2020 in una serra nei pressi di San Felice Circeo, lo dobbiamo alle migliaia di donne e di uomini che lavorano per una delle eccellenze del nostro Paese”.

Da Redattore Sociale

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