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Economia
Aston Martin? Ex colpo da maestro. Andrea Bonomi accusa la botta Covid-19

Di Luca Spoldi

Come preannunciato ieri dal quotidiano finanziario britannico Financial Times, Andy Palmer si è dimesso dalla carica di amministratore delegato del produttore di auto sportive Aston Martin Lagonda, venendo sostituito da Tobias Moers, finora a capo di Mercedes-AMG. Nel capitale del produttore britannico di auto sportive di lusso è tuttora presente il fondo Investindustrial di Andrea Bonomi con poco più di un quinto del capitale dopo lo sbarco in borsa avvenuto nell’ottobre 2018 e dopo il doppio aumento di capitale da complessivi 536 milioni di sterline (circa 592 milioni di euro) di metà marzo, a seguito del quale il miliardario canadese Lawrence Sheldon Strulovitch (anche noto come Lawrence Stroll), già proprietario in Formula Uno del team di Power Racing per il quale corre il figlio, Lance, è stato nominato presidente esecutivo del gruppo.

Un aumento travagliato, visto che Yew Tree Consortium, il consorzio d’investitori guidati da Stroll (e di cui fa parte anche il direttore tecnico del team Mercedes di Formula Uno, Toto Wolff, che in Aston Martin ha investito circa 40 milioni di euro per un 4,77% iniziale, poi diluito allo 0,95%), avrebbe dovuto sottoscrivere un aumento riservato da 45,6 milioni di azioni di nuova emissione, pari al 16,7% di Aston Martin post-aumento, al prezzo di 4 sterline per azione per un totale di 182 milioni di sterline, cui sarebbe seguito un secondo aumento dopo l’annuncio dei dati di bilancio 2019 da ulteriori 318 milioni di sterline aperto a tutti gli azionisti, per un funding totale di 500 milioni di sterline.

Capitali vitali per un’azienda con un indebitamento finanziario netto di circa 800 milioni di sterline e che scommette pesantemente sul lancio del Suv di lusso Dbx. Il coronavirus ha invece fatto saltare piani e conti, obbligando Stroll e consoci a sottoscrivere inizialmente 76 milioni di nuove azioni, pari al 25% del capitale post-aumento, a 2,25 euro per azione per complessivi 171 milioni di sterline. Mentre il successivo aumento, eseguito pro-quota da tutti i soci, ha visto l’emissione di 1,2 miliardi di nuovi titoli (anziché soli 153,2 milioni come inizialmente preventivato) nel rapporto di 4 nuove azioni ogni azione posseduta, a soli 30 pence l’una.

Un aumento iper-diluitivo che ha fornito appena 35,8 milioni di sterline in più ad Aston Martin Lagonda, al termine del quale la cordata guidata da Stroll (che oltre a Wolff vedono tra gli investitori privati manager e imprenditori quali André Desmarais, Michael de Picciotto, Silas Chou, John Idol, John McCaw e lord Anthony Bamford) è quindi diventata il nuovo azionista di riferimento col 25% del capitale (in cambio di un esborso complessivo di 262 milioni di sterline, anziché 235 milioni come inizialmente previsto), Investindustrial è al 22,2% dopo un’ulteriore iniezione di capitali per circa 38 milioni di sterline, il fondo del Kuwait Adeem (in precedenza primo azionista col 27,2%) è calato all’8,5% e Daimler (che al produttore britannico fornisce i motori) al 3,1%.

Dopo l’aumento, complice il lockdown britannico (solo il 5 maggio ha riavviato la produzione presso l’impianto gallese di St. Athan, dove viene prodotto il Suv Dbx), le quotazioni di Aston Martin hanno continuato a calare sino al minimo storico di 35,05 pence toccato il 18 maggio, prima di provare a risalire ai 40,12 pence attuali. La capitalizzazione, che poco prima dell’Ipo Bonomi e gli altri azionisti venditori avevano sperato potesse toccare i 5 miliardi di sterline (il primo giorno di quotazione il titolo chiuse tuttavia a 17,75 sterline e la capitalizzazione risultò di poco superiore ai 4 miliardi) è al momento poco sopra i 610 milioni di sterline.

Bonomi, entrato in Aston Martin nel 2012, aveva inizialmente investito 150 milioni di sterline per il 37,5% del capitale sulla base di una valutazione iniziale del gruppo di 740 milioni di sterline, aveva investito altri 75 milioni in un aumento di capitale del 2015 per poi cedere il 13,75% di Aston Martin Lagonda in sede di Ipo nel 2018 per circa 590 milioni di sterline. All’epoca era sembrato un colpo da maestro, visto che il valore della partecipazione appariva decuplicato, col senno di poi rischia di essere ricordato come un “canto del cigno”.

Neppure l’ulteriore investimento di circa 7 milioni di sterline effettuato nel 2019 (quando era stato riacquistato sul mercato un 3% di Aston Martin a 10 sterline per azione) è infatti riuscito a evitare il tracollo delle quotazioni, che nel caso della quota di Investindustrial hanno finito col “bruciare” oltre 750 milioni di sterline rispetto ai valori toccati al momento della quotazione. Certo, ad oggi Bonomi ha investito 232 milioni di sterline, ne ha ricavati 590 e ha una partecipazione che ne vale ancora quasi 136. Il saldo finale è dunque di 222 milioni di euro: non male di questi tempi, ma ben poca cosa rispetto agli 1,6 miliardi che la partecipazione valeva un anno e mezzo fa, subito dopo il debutto sul listino della City londinese.

 

 

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