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Economia
Cina-Usa, e ora ci rimettono pure le aziende: è un'escalation

Le tensioni commerciali fra Stati Uniti e Cina, che hanno visto Washington e Pechino intervenire nella politica economica penalizzando il Paese concorrente attraverso l'imposizione di dazi sull'export, si trasferiscono sempre di più a livello aziendale, con uno scontro fra i pezzi da 90 di Corporate America e Corporate China.

Trump
 

La chiamata alle armi del presidente Donald Trump di questa settimana contro Huawei, raccolta immediatamente da Google, una delle prime tre aziende del tech a stelle e strisce che ha interrotto i rapporti commerciali con il colosso degli smartphone e della tecnologia 5G, è solo uno dei tanti casi che dimostra come la guerra dei dazi e il Medioevo dei rapporti internazionali fra Washington e Pechino influenzino anche le relazioni industriali, spesso fatte di lucrosi contratti a otto zeri, fra le società americane e cinesi integrate nei business di fornitura.  

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Rinunciando a fatturare, dopo Google, hanno stracciato i contratti con Huawei anche le connazionali a stelle e strisce Intel, Broadcomm, Qualcomm, Xilinx e Microsoft, reazione che oggi ha provocato le ritorsioni da parte delle tre maggiori compagnie aeree cinesi nei confronti di Boeing, in pesante crisi di reputazione per l'incidente di ottobre scorso della Lyon Air e già finita vittima della guerra dei dazi per i tagli delle commesse da parte del governo cinese (in favore della concorrente europea Airbus), conseguenti anche al nuovo disastro del 737 Max 8 dell'Ethiopian Airlines, precipitato a marzo di quest'anno ad Addis Abeba. 

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Dopo esser state le prime a marzo a sospendere i voli del modello di punta di casa Boeing per ragioni di sicurezza, China Southern, China Eastern e Air China, rispettivamente rispettivamente la più grande compagnia asiatica per flotta, la seconda della Cina e la compagnia nazionale, hanno fatto richiesta formale di indennizzo al produttore americano per compensare il blocco a terra e il rinvio delle consegne di 737 Max dopo gli incidenti aerei che hanno coinvolto questi apparecchi.

Ora un responsabile di Air China ha confermato che "oggi la società ha ufficialmente depositato domanda di indennizzo nei confronti di Boeing per le perdite subite a causa del blocco dei voli e l'impossibilità per il gruppo statunitense di onorare le consegne di 737 Max nei tempi previsti". Anche le due altre compagnie aeree cinesi hanno presentato richieste analoghe, senza renderne noto l'ammontare. China Eastern ha dichiarato che il blocco a terra dei suoi 14 aerei 737 Max ha causato "pesanti perdite che continuano ad aumentare".


 

A settembre dello scorso anno, sempre un altro big dell'industria cinese come Alibaba, quotato a Wall Street, il tempio della finanza mondiale, aveva fatto scattare le ritorsioni nei confronti dell'economia a stelle strisce come conseguenza delle prime barriere tariffarie introdotte a luglio e ad agosto da Donald Trump nei confronti di 40 miliardi di export complessivi del Dragone. Ritorsioni che nel caso del colosso dell'e-commerce fondato dal miliardario Jack Ma hanno portato alla cancellazione di un milione di posti di lavoro programmati negli Stati Uniti, come aveva annunciato lo stesso Ma a gennaio 2017, al termine di in un incontro col presidente americano. "Io e Jack faremo grandi cose", aveva sentenziato in quell'occasione il tycoon newyorkese. 

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Giustificando il proprio colpo di spugna a investimenti miliardari, il patron di Alibaba aveva fatto riferimento proprio allo scoppio della guerra dei dazi Usa-Cina.

"La premessa era quella di relazioni commerciali amichevoli tra i due Paesi ma questa premessa non esiste più e la nostra promessa non può essere mantenuta”, aveva affermato infatti il Paperone cinese in un'intervista all'agenzia cinese Xinhua, rifilando anche una stoccata a Trump: "Il commercio non è un'arma e non dovrebbe essere usato per cominciare le guerre, ma dovrebbe essere un fattore chiave per la pace".

La stessa Apple, che nel colosso d'Oriente realizza il 18% delle proprie vendite mondiali di iPhone ma che sempre nei parchi tecnologici di Shenzen assembla i propri melafonini e i tablet progettati però nella Silicon Valley, ha iniziato a temere contromisure da parte di Corporate China, ritorsioni che potrebbero compromettere la filiera produttiva low cost che assicura profitti profitti miliardari a Cupertino.

Così, il gruppo fondato da Steve Jobs sta spostando la produzione di iPhone di fascia alta in India, anche se trovare alternative alla professionalizzata manodopera e alla logistica su cui può contare il suo fornitore per eccellenza cinese, Foxconn, non sarà facile. A Washington, l'amministrazione americana si attende altre ritorsioni dell'industria di Pechino nei settori agricoli e dell'energia.

twitter11@andreadeugeni

 

 

 

 

 

 

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