Economia
Crac Ciappazzi: la Cassazione condanna Geronzi e Arpe

Dopo quindici anni di indagini e molti processi, si e' conclusa con la condanna a 4 anni e mezzo di reclusione per bancarotta fraudolenta nei confronti di Cesare Geronzi - uomo forte della 'finanza' romana a lungo vicino a Giulio Andreotti, ex presidente di Capitalia, Mediobanca e Generali - la vicenda della vendita delle acque minerali Ciappazzi, del gruppo di Giuseppe Ciarrapico, a Calisto Tanzi quanto era patron della Parmalat. Confermata anche la condanna a 3 anni e 6 mesi per Matteo Arpe, ex direttore generale di Capitalia che si lascia alle spalle una carriera da enfant prodige del sistema bancario, quelle per i manager bancari Roberto Monza e Antonio Muto a 3 anni e 2 mesi ciascuno, per Riccardo Tristano a 3 anni, e Eugenio Favale a 2 anni e 2 mesi.
Con questa decisione, emessa dalla Prima sezione penale su parere conforme espresso nella sua requisitoria dal Pg Alfredo Viola, e' divenuta quindi irrevocabile la responsabilita' penale dei sei imputati, e i risarcimenti per le parti civili tra le quali ci sono i Benetton. Sulle pene accessorie, che ammontavano a 10 anni di inabilitazione dagli incarichi societari e 5 di interdizione dai pubblici uffici, la Cassazione ha dato mandato alla Corte di Appello di Bologna di rideterminarle al ribasso sulla base della recente sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionali gli automatismi nella determinazione della durata delle pene accessorie per il reato di bancarotta.
In pratica, non possono esserci interdizioni 'standard' per tutti, ma il principio della pena personalizzata deve trovare applicazione alla luce dei singoli casi. Gia' nel 2014 la Cassazione aveva affrontato questo procedimento quando annullo' con rinvio la sentenza d'appello che aveva confermato il verdetto del Tribunale di Parma che aveva inflitto 5 anni a Geronzi e 3 anni e 7 mesi ad Arpe.
Nel 2015, i giudici bolognesi - con la sentenza confermata oggi - avevano rideterminato le pene e alcuni reati, come l'usura contestata a Geronzi, si erano prescritti. Il processo per il crac Ciappazzi era stato poi sospeso con l'invio degli atti alla Consulta. Una richiesta di revisione dell'intero processo e' stata presentata dai legali di Matteo Arpe, anni orsono, sulla base dell'emersione di un nuovo quadro probatorio, con procedimento incardinato presso la Corte di Appello di Ancona. Arpe, presidente del gruppo finanziario Sator da lui fondato, non e' nel Cda di istituzioni bancarie quotate e quindi non incorre nel rischio di decadere in base alle norme di rispettabilita' della Bce.
Nell'immediato non si profila il rischio carcere per nessuno, perche' tra indulto e affidamento ai servizi sociali questa possibilita' sembrerebbe proprio da escludere anche se gli avvocati dovranno darsi da fare. Per quanto riguarda Geronzi che ha la condanna che supera i quattro anni, data la sua eta', a quanto si e' appreso, non dovrebbe correre il rischio di entrare in carcere perche' nei suoi confronti vige la legge ordinaria che tutela gli ultraottantenni dall'ingresso in cella e per lui, imputato di bancarotta e non di corruzione, non si applica la legge 'spazzacorrotti' che annulla il 'vantaggio' anagrafico.