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Economia
Davide Casaleggio: "Le PMI italiane puntino su intelligenza artificiale e..."

PREMESSA

Quando si parla del quarantaduenne Davide Casaleggio, milanese, laureato alla Bocconi in Economia Aziendale, figlio del cofondatore del M5S Gianroberto e presidente dell'associazione Rousseau, la piattaforma tecnologica e politica del Movimento, non si può dimenticare l’inevitabile legame con i 5 stelle e il ruolo cruciale che lui personalmente e la sua organizzazione rivestono nell’orientamento del primo partito italiano uscito dalle elezioni dello scorso 4 marzo.Detto questo, ci sarebbe piaciuto intervistarlo anche su temi più squisitamente politici, ma Casaleggio ha cortesemente declinato, preferendo affrontare quelli a lui più cari della tecnologia, dell’intelligenza artificiale e dell’Internet of Things. Una scelta legittima e rispettabilissima che abbiamo accolto di buon grado. Tutto sommato non ci è sembrato un minus, perché alcune delle sue opinioni intorno all’attualità tecnologica, alla fine della fiera, hanno svelato un contenuto oggettivamente politico, come il tema del lavoro da cui siamo partiti per questa chiacchierata.

INTERVISTA

Il progresso tecnologico ha sempre portato alla scomparsa di alcuni tipi di lavori manuali. Oggi, però, l'innovazione e la disintermediazione minacciano professioni legate alla cosiddetta "middle class". In un tempo in cui l’automazione prende il posto degli uomini, dobbiamo prepararci al superamento del concetto di lavoro, così come lo intendiamo oggi?
“La parola ‘lavoro’ ha assunto significati sempre diversi nel corso della storia e credo evolverà ancora. All'inizio del '900 lavorare significava, per oltre l'80% della popolazione, alzarsi alle 6 del mattino con una zappa in mano e stare nei campi fino a sera per tutto il tempo della propria vita e fino a che avevamo le forze per farlo. E solo qualche decennio prima non esisteva nemmeno il concetto di ‘andare in pensione’. Oggi lavorare significa impiegare 40 ore a settimana per metà della nostra vita e i lavori in agricoltura impiegano meno del 2% della popolazione. Viviamo un tempo in cui le innovazioni tecnologiche sono molto più rapide e se da un lato le aziende non possono lasciarsi sfuggire questa opportunità, dall’altro è necessario introdurre il concetto di formazione continua per poter garantire la preparazione necessaria per le persone che in quelle aziende lavorano. Pensiamo ad Adidas che, dopo decenni di delocalizzazione in Asia, ha iniziato a riportare la produzione in Europa nel 2016 producendo mezzo milione di scarpe l'anno in Germania con una fabbrica automatizzata. È necessario che anche in Italia iniziamo ad intercettare questo processo di reshoring”.

Lei ha definito l'intelligenza artificiale (AI), applicata ai processi produttivi delle imprese, un treno in partenza da non perdere per abbracciare la trasformazione digitale e costruire un modello per la creazione di valore (e profitto) che ricorda molto il ‘commons collaborativo’. Condivide questa visione?
“Il ‘Commons collaborativo’ è già entrato anche nell'economia italiana. Condividere una macchina con il car sharing in città come Milano o Roma è diventato normale e alla portata di tutti, come anche affittare la propria casa o una camera per pochi giorni tramite una delle numerose piattaforme on line nate negli ultimi anni. L'impiego delle risorse inutilizzate diventerà sempre più normale anche grazie all’uso di sistemi che abbatteranno del tutto o quasi i costi di transazione. Le tecnologie della blockchain, internet delle cose e degli oggetti di intelligenza artificiale andranno proprio in questa direzione”.

Il presidente francese Macron ha stanziato un miliardo e mezzo di euro da qui al 2022 per fare della Francia un Paese leader nel campo dell’intelligenza artificiale, colmando il gap nei confronti di Stati Uniti e Cina. Per imprimere un’ulteriore accelerazione al settore, l’Eliseo punta anche a mobilitare gli investimenti privati, come dimostra la vitalità dei fondi di venture capital francesi che nel 2017 hanno raccolto qualcosa come 2 miliardi di euro. Su questo tema la Casaleggio Associati ha pubblicato un nuovo report sul Venture Capital in Italia, dove risultano in aumento il numero e il valore degli investimenti, per quanto il nostro Paese non brilli particolarmente. Qual è la vostra ricetta?
Il mercato del Venture Capital in Italia vale un ventesimo di quello francese e un quarantesimo di quello britannico. Anche se ci paragoniamo alla Spagna ne usciamo perdenti rappresentando solo un quinto dei loro investimenti. Il motivo è strutturale. È necessario creare un ecosistema del finanziamento all'innovazione per poter far competere le aziende italiane ad armi pari con quelle estere. Si pensi che il nostro ‘unicorno’, la società finanziata dal venture che oggi fattura più di un miliardo di euro, YOOX è partita con un finanziamento pre-IPO di 20 milioni di euro, il suo concorrente tedesco con 181 milioni di euro. Nella maggior parte dei casi le aziende italiane tuttavia non superano i 5 milioni di finanziamento. La Francia ha dimostrato che è possibile creare questo ecosistema del finanziamento all'innovazione nel giro di pochi anni. È necessario agire su più fronti a partire dalla razionalizzazione dei finanziamenti pubblici oggi distribuiti spesso a pioggia dalle finanziarie regionali, mentre per esempio in Francia sono stati razionalizzati tramite la creazione di una Banca Pubblica di Investimento”.

Il nostro Paese ha un’economia fondata sulle piccole e medie imprese che stentano a intravedere le grandi opportunità, rappresentate dalla combinazione dell’intelligenza artificiale con altre innovazioni già a disposizione come Internet of things, il riconoscimento automatizzato di immagini e audio, le blockchain e gli smart contract. Quali consigli si sente di dare alle PMI italiane?
“Siamo agli albori di una rivoluzione industriale molto più importante e rapida delle precedenti. Se le aziende italiane vogliono esserne parte, questo è il momento. Chi non ha compreso il valore della Rete negli ultimi dieci anni ha ridimensionato la propria presenza sul mercato e in molti casi è scomparso. Lo stesso accadrà alle aziende che non coglieranno le opportunità dell'Intelligenza artificiale, delle blockchain e dell'internet delle cose. Le PMI che vogliono intercettare il cambiamento in corso dovranno essere pronte ad accoglierlo. Innovare e internazionalizzarsi. Innovare spendendo più della media italiana dell'1,3% di investimenti in Ricerca e sviluppo sul PIL che è pari a metà di quello che investe la Germania. Internazionalizzarsi per creare quelle economie di scala necessarie a reggere la competizione delle aziende estere che sempre più spesso entrano sul mercato italiano direttamente o tramite acquisizioni. Non si tratta solo di aumentare la produttività o migliorare l’efficienza delle aziende, ma di esplorare nuove strade e nuove possibilità. Basti pensare che entro la fine del 2019 il 40% delle iniziative di digital transformation sarà supportato da capacità di intelligenza artificiale. I risultati per le aziende che stanno impiegando al loro interno l’Intelligenza Artificiale sono già evidenti: la riduzione dei costi operativi del 10-15% in seguito all’automazione di un sistema di emergenza ospedaliero, del 25% per la ridefinizione del sistema di manutenzione di aerei con metodo di manutenzione previsionale, fino al 90% per la creazione automatizzata dei mutui, costi di logistica che possono essere abbattuti tra il 5 e il 10%, riduzione degli spazi di magazzino in alcuni casi fino al 50%”.  

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davide casaleggioblockchainpmi italianeintelligenza artificiale





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