Il crollo verticale dell’economia italiana “causa lockdown”, le tensioni dentro e fuori la maggioranza di governo sulle linee da seguire per la ripartenza, le lungaggini dell’Europa nel varo di una strategia comune di aiuti alle imprese e ai paesi maggiormente colpiti dalla pandemia di coronavirus si traducono in una nuova “fuga” degli investitori internazionali dai titoli di stato italiani, che dunque dipendono sempre più dalla Bce anche se in prospettiva il governo punta a vederli tornare maggiormente nel portafoglio delle famiglie italiane, con tutti i rischi del caso.
Secondo gli ultimi dati di Banca d’Italia, a fine marzo nei portafogli degli investitori esteri c’erano 51,5 miliardi di euro in meno di titoli di stato tricolori, in prevalenza a lungo termine. Un dato che segna una netta inversione di rotta rispetto agli acquisti netti per 2 miliardi del mese precedente, che avevano portato la percentuale di titoli italiani in mano all’estero al 35,9% del totale ossia a circa 735 miliardi in tutto, il massimo dal maggio 2015. Per fare un rapido confronto, a fine dicembre 2019 gli investitori esteri, esclusa la Bce, avevano in mano poco più di 693 miliardi di titoli di stato italiani (il 28,8% del totale).
Marzo, va ricordato, è stato il primo mese che ha visto l’economia italiana “chiusa” forzatamente (il lockdown, annunciato il 23 febbraio per le zone rosse in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, è stato poi esteso sino alle prime graduali riaperture del 4 maggio). Da allora molta acqua (assieme purtroppo a molte vittime di Covid-19) è passata sotto i ponti e il governo ha moltiplicato i decreti per “garantire” sostegno a famiglie e imprese facendo rapidamente salire il conto delle maggiori spese da finanziare in qualche modo. Il Tesoro nel suo rapporto di maggio indica infatti in 55,3 miliardi per il 2020 e in 26,3 miliardi per il 2021 l’importo dell’extra-budget.
Extra budget che andrà finanziato ricorrendo al mercato ma anche agli aiuti europei. Il mare di polemiche scatenatesi dentro e fuori la maggioranza di governo al riguardo ha contribuito a portare lo spread Btp-Bund dall’1,34% a cui si trovava prima del Dpcm del 23 febbraio al 2,18% attuale, passando per un picco del 3,19% toccato il 18 marzo. Un andamento che scontava anche il rischio che le agenzie di rating limassero di uno o due “notch” il merito di credito della Repubblica Italiana facendo cadere il rating sui Btp italiani a livello “junk”.
Solo la decisione della Bce, che nel frattempo ha accelerato i suoi acquisti di Btp sul mercato, di sospendere fino a fine anno le regole della “capital key” (così da poter comprare più Btp di quanto altrimenti consentito) e del merito di credito dell’emittente (accettando di acquistare anche titoli “junk” come già erano quelli greci e, eventualmente, quelli di altri paesi che lo fossero diventati) hanno poi fatto rientrare in parte le tensioni e sarà interessante vedere se in aprile e in maggio parte dei capitali esteri fuggiti saranno ritornati sui Btp.
La “fuga” (suggerita anche da vari broker, tra cui la tedesca Commerzbank) per ora pare essere arrivata a pesare per un 7% del totale in mano agli investitori esteri riducendone il peso al 33,4% circa, percentuale verosimilmente ripartita tra gli acquisti della Bce e delle banche italiane. Il Tesoro potrebbe almeno in parte compensare la “fuga” degli investitori esteri già con la nuova emissione di Btp Italia a 5 anni, offerta a condizioni “fuori mercato”, ossia ampiamente superiori ai titoli di stato di pari durata non indicizzati all’inflazione (nonostante non si vedano segnali di accelerazione dei prezzi al commercio) per favorire un ritorno d’interesse da parte degli investitori retail italiani.
Strategia molto onerosa (e rischiosa per gli investitori, nella misura in cui riducesse la diversificazione di portafoglio aumentando l’esposizione al rischio Italia), ma che pare stia funzionando, per la gioia di chi come il senatore M5S Elio Lannutti propone di “attrarre parte dei 1.500 miliardi di depositi bancari” che rendono lo 0,10% offrendo “emissioni esentasse a tassi del 2,5%-3%” annuo lordo.
In tarda mattinata le domande avevano infatti già superato i 10 miliardi dopo soli tre giorni di collocamento previsti, cui seguirà poi la fase riservata agli investitori istituzionali, che pure potrebbero essere interessati (anche dall’estero) a guadagnare un sovra-rendimento, sapendo di poter poi “girare” i titoli alla Bce come collaterali a fronte di prestiti erogati a tasso attorno allo zero.
Commenti