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Economia
Covid, dopo la pandemia anche il management è destinato a cambiare

Sul ruolo dei manager nell’era del post Covid si sta discutendo intensamente, ed è giusto così: tutto il dibattito pubblico gira attorno a come far ripartire l’economia ed alla grande sfida di fare impresa.

E’ un tema di cruciale attualità: in  questo momento senza precedenti, c’è stata sicuramente una presa di coscienza di quello che i manager aziendali possono effettivamente fare e del fatto che possono farlo in tempi molto più rapidi di quelli ipotizzabili prima dell’emergenza pandemica.

Sulle nostre scrivanie si riversano quotidianamente interviste, articoli, studi sulla gestione dell’attuale complessa situazione e sulle possibili soluzioni per l’uscita dalla crisi economica.

Si dice che tutto è diverso ma si parla, poi, come se tutto fosse più o meno lo stesso. 

E’ evidente che c’è stato  - purtroppo - ed è in atto un cambiamento e si fa ancora fatica a capire quali degli effetti della pandemia saranno temporanei e quali si riveleranno permanenti: la pandemia non è una parabola, un’emergenza che poi riatterra sullo stesso terreno, ma una spirale di trasformazione.

Si tornerà sì alla normalità, ma ad una dimensione nuova, con modalità di business ‘trasformate’, verosimilmente con maggiori disparità tecnologiche e patrimoniali.

Un ritorno alla normalità che non avrà poco nulla a che vedere con quella pre-COVID perché il mondo e il lavoro sono ormai cambiati: si deve cogliere l’occasione per un cambiamento, anche culturale, seppur forzato che condurrà – se non l’ha già fatto -  ad una presa di coscienza essenziale per transitare verso il lavoro del futuro in cui tecnologia, competenze e flessibilità organizzativa saranno il punto di forza di imprese e individui. 

Ogni azienda, ogni imprenditore costruirà il suo scenario con un approccio organizzativo, circolare e globale che oggi più che mai diviene fondamentale per il lavoro di tutti.

Ed in questo contesto di buon management c’è davvero bisogno (non che in passato non ce ne fosse !) perché riveste un importante ruolo sociale sia nella gestione dell’ impresa che della comunicazione verso i propri dipendenti, clienti, partner.

Quali saranno le sfide del management?

Per questo 2021 si profila un quadro sfidante per il mondo delle aziende e del lavoro che deve necessariamente condurre il management a riflettere profondamente sul proprio ruolo, sul dovere e potere di fare impresa, perché sono mutati forzatamente i processi e l'organizzazione interni, le transazioni esterne, così come l’accesso al mercato e al capitale finanziario.

Sono cambiati i fattori critici fondamentali del management: il valore dello spazio, del tempo, la sintassi organizzativa, la gestione del personale e del capitale umano.

Il management non potrà più prescindere dal gestire risorse e competenze da sviluppare ex novo, con partnership da ripensare nei modi e nei luoghi. value proposition  da creare, per mantenere e creare nuove opportunità di business.

Marchionne diceva che “un grande leader è capace di guidare il cambiamento, indicare la direzione generale, fissare degli obiettivi, incredibilmente audaci, circondarsi delle persone migliori che si possano trovare, e farle lavorare”: ci vuole sensibilità, equilibrio, saggezza e capacità di soppesare azioni e reazioni complesse, essere allineati con le persone, motivarle, vincere le  resistenze al cambiamento investire nei dipendenti/collaboratori, mettendo mano agli assetti organizzativi, ai sistemi operativi, a soluzioni di welfare.

Quella che è in atto è un’accelerazione verso un nuovo business model in cui il management dovrà generare fiducia e consenso per il bene dell’azienda interagendo con la molteplicità di stakeholders (proprietà, banche, dipendenti, sindacati, rappresentanza, enti territoriali, PA, etc...). 

La crisi sollecita i manager a quello che Marchionne chiamava “il coraggio di cambiare”, un cambiamento totalizzante, attrezzandosi per passare in tempi brevi dalla versione tradizionale a una versione in cui le parole d’ordine devono essere condivisione, competenza, semplificazione, visione strategica.

La sfida del management, dunque, sarà di navigare a vista, con meno forma e più sostanza, di  intravedere le opportunità di miglioramento, di ‘guidare’ la nave verso un porto sicuro (o quasi): guardare al futuro e ripensare i piani e le organizzazioni sotto diversi punti.

Per fare questo dovrà agire in modalità smart - agile e digitale - con un ampliamento delle deleghe, decisioni decentralizzate, forti rapporti di fiducia e capacità di far lavorare le persone in modalità asincrone, senza mai dimenticare il contatto umano.

Per soddisfare gli interessi comuni in un gioco di squadra dove ‘nessuno può vincere da solo’.

Quale direzione dovrà prendere il management nei confronti dei propri stakeholder, interni ed esterni?

I manager sono chiamati a scelte importanti e hanno una grande responsabilità sociale non solo per quanto riguarda la comunicazione verso i fornitori (che devono sentirsi supportati per non perdere il legame commerciale instaurato), ma anche verso i propri dipendenti (che devono sentirsi motivati per continuare a essere produttivi e non soffrire l’isolamento ‘emotivo’ da smart working), i clienti e gli altri stakeholders.

Verranno ridefiniti i business model, finanza e supply chain attraverso un uso ancora più deciso del digitale, con un’accresciuta capacità di relazione e condivisione di conoscenze e competenze, intercettando i bisogni e traducendoli in richieste concrete per il mercato, per passare dalla logica tradizionale a una più strategica. 

Nel 1998  il Prof. Claudio Demattè (In Economia e Management, n. 1, 1998) scriveva “ di tanto in tanto la professione manageriale, così incline a diventare supponente quando vince qualche battaglia, e i seriosi studi di management vengono scossi da qualche provocazione che ridimensiona le ambizioni, che costringe a pensare, che obbliga a fare i conti con la realtà che sfugge alla catalogazione, ai modelli, alla pretesa ‘scientifica’ di imbrigliarla o alla volontà autoritaria di dominarla”.  

Ed è vero, bisogna fare i conti con la realtà: la crisi ha accelerato alcuni processi di lavoro che erano già iniziati, ma stentavano a svilupparsi.

Ha dimostrato che si può fare e ha ‘sdoganato’ nuove modalità di lavoro.

La grande sfida futura che i manager sono chiamati ad affrontare è quella di una trasformazione profonda del “lavoro di gestione” e delle sue fondamenta, quelle stessa fondamenta che il Prof. Demattè identificava nella tecnica, nella progettualità e nell’arte politica.

E’ necessaria una visione più ampia, che non si limiti solamente a risolvere i problemi più impellenti: il quadro di riferimento per la nuova organizzazione del lavoro e la direzione da prendere saranno quelli di gestire le risorse umane e finanziarie in un contesto sostenibile a lungo termine, agire in modalità agile e digitale, con strutture snelle, in grado di interpretare i segnali interni ed esterni per rinnovare continuamente l’offerta di beni e servizi e le modalità di lavoro, per la soddisfazione dei lavoratori e dell’azienda, dovendo gestire contratti di lavoro più flessibili, innovativi e personalizzabili.

Non potrà esserci una soluzione semplice alle sfide che si dovranno affrontare all'indomani di questa crisi perchè a cambiare deve essere il modo di vedere e gestire il business che porrà le imprese davanti a sfide vecchie e nuove.

È in atto un percorso di cui non si conosce il punto d’arrivo ma, di certo, nel passaggio al next normal rimarrà uno spazio straordinario per il digitale, sia perché indietro non si torna sia perché lo stesso potrà essere luogo di socializzazione e consumo se il “reale” non potesse offrire sufficienti libertà a causa dei nuovi vincoli normativi, consentendo esperienze e socializzazione esponenziali.

Il management dovrà essere capace di coinvolgere tutti gli stakeholders, interpretare le nuove aspettative delle persone e riorganizzare l’azienda, con attenzione all’ambiente, sostenibilità, sicurezza e responsabilità sociale, con flessibilità, sintonia e facendo gioco di squadra; dovrà promuovere la cultura e lo sviluppo dello smart working, anche a livello del CdA; dovrà essere sempre “sul pezzo”, in modo strategico ed aperto ai canali innovativi; dovrà essere promotore e facilitatore del ricambio generazionale; dovrà essere in grado di analizzare e valutare il rischio, anche per gestire situazioni di crisi, non solo in teoria ma anche in pratica.

Agire, quindi, con motivazione e performance a breve pensando al lungo, cioè a dire, non solo al profitto a breve ma anche al benessere “duraturo” di tutti gli stakeholders.

Il management deve avere chiara l’idea di svolgere un ruolo fondamentale nella società che è quella di generare significato a livello locale, nelle loro operazioni quotidiane, aiutando le persone a sviluppare un'identità in modo concreto.

Del resto, chi sono le persone che si confrontano quotidianamente con le difficili realtà sociali del nostro tempo? Chi ha l'esperienza per gestire più fonti di identificazione, che si tratti delle esigenze del cliente o della diversità dei dipendenti? E chi sono le persone formate dall'esperienza per gestire i diversi imperativi di mercato, le normative nazionali e le richieste di burocrazia? 

I Manager.

I manager possono contribuire a sviluppare e implementare quei processi per aiutare a consolidare la struttura fratturata del nostro mercato nell’ottica dell’inclusività, sostenibilità e responsabilità delle aziende che gestiscono, così come richiede il ruolo fondamentale che sono chiamati a svolgere.

Imprenditori e manager hanno compreso che la soluzione non è garantire un reddito, ma creare un lavoro che produca il reddito per l’impresa e i suoi lavoratori perchè senza lavoro non c’è né la salute, né la ‘dignità’.

Mainini & Associati*

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