Draghi, keynesiano d’America al governo dell'Italia per soffocare il Dragone - Affaritaliani.it

Economia

Draghi, keynesiano d’America al governo dell'Italia per soffocare il Dragone

di Fabrizio Agnocchetti

Analizzare con lucidità e mente sgombra da pregiudizi l’attuale fase europea di svolta è operazione molto complessa, dopo quasi un trentennio di martellante propaganda fuorviante. Esattamente da quando le cancellerie dell’Europa occidentale, terrorizzate dall’eventualità di una nuova egemonia della Germania riunificata, le imposero la rinuncia al marco e la trasformazione dello SME in una moneta unica gestita collettivamente. Uno scambio che avrebbe dovuto addomesticare ed europeizzare la Germania all’interno di un’unione sempre più integrata e governata collegialmente, ma che, nella realtà, ha sortito l’effetto opposto: la germanizzazione dell’Europa.

I tedeschi, infatti, hanno ceduto la sovranità monetaria solo a condizione che l’euro fosse costruito sul modello monetarista della Scuola di Chicago, il più consono alle esigenze del loro sistema economico, dando luogo, logicamente, a una sempre più marcata loro egemonia sul continente.

L’Europa ha così vissuto per decenni sotto i diktat liberisti imposti dall’élite finanziaria e industriale tedesca: nessuna spinta all’economia dal lato della domanda, ma solo riforme strutturali per stimolare l’offerta. Nessun ricorso, quindi, alle politiche monetaria e fiscale e alla manovra del cambio per rilanciare crescita e occupazione, rinnegando gli strumenti keynesiani che nei decenni precedenti avevano generato il portentoso sviluppo economico del dopoguerra.

In un tale contesto, i concetti di “riduzione del debito”, “azzeramento del deficit”, “stabilità della moneta”, “contenimento dei salari e dei prezzi”, non sono più state scelte sovrane di politica economica, ma variabili fissate a monte - perché imposte dall’imperscrutabile funzionamento del Mercato - alla stregua d’ineluttabili leggi naturali. Una generazione cresciuta con lo spauracchio dello spread - il termometro che misura la profondità dei comportamenti economici “non virtuosi” di un Paese - e il sentimento di colpa introiettato, che ne consegue. Decenni di deflazione obbligata per tutti i Paesi europei non allineati ai fondamentali dell’economia tedesca, durante i quali costi sociali pesanti e ingiusti sono stati percepiti come necessari, per redimere comportamenti non ortodossi e scongiurare il fallimento dello Stato.

In realtà non è stata che mera propaganda delle élite tedesche per germanizzare tutte le economie europee, nella migliore delle ipotesi; acquistare a buon mercato le forniture e i componenti a monte della catena del valore dell’industria tedesca, nella peggiore.

Tuttavia l’obiettivo strategico prioritario degli Stati Uniti d’America, per conservare il loro ruolo di superpotenza egemone del pianeta, è eliminare qualsiasi insidia, interna o esterna, al dominio dell’Europa. Hanno dovuto combattere e vincere due guerre mondiali per sottrarla alla supremazia tedesca e, in seguito, la guerra fredda per impedire la sua conquista da parte della Russia. L’integrazione europea è stata innanzitutto un baluardo alle mire espansionistiche sovietiche e, vinta la guerra fredda, il grimaldello con cui hanno smontato, pezzo per pezzo, l’impero russo. Gli strateghi della politica estera americana dunque hanno bisogno di un’Unione Europea che stabilizzi e consolidi il dominio statunitense sul Vecchio Continente, ma allo stesso tempo devono impedire in tutti i modi che la Germania ne conquisti la supremazia.

Se l’obiettivo strategico è dato, la tattica per perseguirlo è variata nel tempo.

L’esigenza di tenere a freno i tedeschi ha cominciato a essere avvertita verso la fase finale dell’amministrazione Bush e sotto Obama ha coinciso con l’inaugurazione della politica del disimpegno dall’impero. Nello specifico in Europa e nel Mediterraneo questa fase è corrisposta a un apparente ritiro del presidio americano, con l’obiettivo di generare instabilità. Ne sono conseguite le primavere arabe - spesso con il loro carico di cruente guerre civili - sulla sponda africana e mediorientale del Mediterraneo e la contemporanea nascita e crescita di pulsioni populiste anti-sistema nelle opinioni pubbliche europee, sulla sponda settentrionale.

Un combinato disposto micidiale d’immigrazione massiccia, attacchi terroristici, crescita di movimenti, nazionalisti, xenofobi, geneticamente anti-europeisti, che ha pesantemente minato l’integrazione europea, disarticolato le ambizioni egemoniche della Germania e danneggiato i vitali interessi francesi e italiani nel Mediterraneo.

Parallelamente alla generazione d’instabilità, la più sofisticata ed efficace politica americana di contrasto a un’Europa germanizzata è stata senza dubbio l’operazione Mario Draghi. Economista di altissimo profilo di scuola keynesiana (allievo di Federico Caffè a Roma e di Modigliani e Solow al MIT), molto legato alle élites finanziarie americane - tanto da occupare la vice-presidenza europea della Goldman Sachs e subito dopo la direzione del Financial Stability Board – Obama inviò nel Vecchio Continente il Segretario del Tesoro, Timothy Geithner, per sponsorizzare – per non dire imporre - la sua elezione alla guida della BCE. Il Doctor del MIT svolse il suo ruolo egregiamente, cambiando strutturalmente la visione della BCE sulla politica monetaria e modificando quindi la sua funzione nell’ambito dell’Eurozona. Se per statuto essa doveva esclusivamente presiedere alla stabilità interna ed esterna dell’euro (visione monetarista), Draghi concepì per essa anche un ruolo di stimolo all’economia (visione keynesiana). Seguendo peraltro proprio l’esempio della Fed, dove le è conferito per statuto. Inaugurò, così, una nuova politica monetaria fortemente espansiva, ufficialmente per raggiungere il target d’inflazione del 2% e per chiudere il più possibile gli spread intra-euro, ma, nel concreto, a sostegno della domanda aggregata: un vero e proprio fendente keynesiano proveniente dall’America contro le fondamenta monetariste dell’Europa germanizzata. Il QE, lanciato da Draghi – anche in questo caso “sponsorizzato” con un giro di Geithner nelle opportune sedi europee – andò logicamente in rotta di collisione con le élites finanziarie tedesche. Da quel momento è iniziato il braccio di ferro tra BCE da una parte e Bundesbank e ministro tedesco delle Finanze dall’altra, diventato ormai una costante nel governo dell’euro.

Non solo. Nell’ultima fase del suo mandato, Draghi ha sollecitato a più riprese i governi dell’Eurozona ad accompagnare il forte allentamento monetario con una parallela politica fiscale espansiva – anche in questo caso seguendo l’esempio del governo federale americano – affinché gli stimoli dell’intervento pubblico sull’inflazione e sulla domanda aggregata fossero più efficaci.

L’arrivo di Trump alla Casa Bianca non ha modificato la tattica geopolitica degli USA. Al contrario la narrazione del repubblicano ha accentuato, soprattutto nella percezione del mondo, la politica del disimpegno americano dall’impero. In Europa e nel Mediterraneo si è approfondita l’instabilità. Molto efficace è stata, in questa direzione, la propaganda martellante di populismo, nazionalismo, protezionismo e anti-europeismo del tycoon newyorchese, che, al di qua dell’Atlantico, ha fomentato i partiti destabilizzanti della costruzione europea. Il risultato è stato una sorta di “ricreazione” di cui ha beneficiato, in termini di attività geopolitica, l’Europa (e il Medio Oriente). Da qui i flirt di Germania e Turchia con Russia e Cina e gli amorevoli intenti dei governi Conte con Pechino, in linea con le convergenze strategiche del Vaticano.

Nel frattempo a Francoforte, la Lagarde, succeduta a Draghi, dopo un iniziale tentennamento di pochi giorni, ha, non solo proseguito, ma potenziato la sua politica espansiva, anche per rispondere allo choc pandemico.

Proprio nel momento in cui la dilagante diffusione del covid-19 generava in Europa una lacerazione senza precedenti tra le cosiddette “formiche” e “cicale”, dal Financial Times Draghi, il “cavallo di Troia” degli americani in Europa, dall’alto della sua indiscussa autorevolezza del “whatever it takes…and believe me, il will be enough!” lanciava la bomba della necessità impellente di una gigantesca politica fiscale europea per far fronte alla catastrofe economica generata dalla pandemia. “E’ chiaro che la risposta deve coinvolgere un rilevante incremento del debito pubblico”, “Le consistenti perdite del settore privato devono essere assorbite dal bilancio pubblico”, tra i passaggi più significativi. Era il “whatever it takes” lanciato sul debito pubblico per la salvezza del settore privato. La sua totale e definitiva sconfessione del monetarismo che da quasi un trentennio dominava incontrastato sulla scena europea.

Con l’arrivo di Biden, cambia la tattica geopolitica: il disimpegno destabilizzante è abbandonato a favore del ritorno al presidio stabilizzatore, poiché vi è necessità di serrare i ranghi per rinforzare la morsa soffocante sulla Cina. Non sono più tollerate “falle” nelle retrovie, per concentrarsi sul contenimento del Dragone nella sua regione, nel suo mare.

L’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi – e probabilmente la sua salita al Colle l’anno prossimo – è fondamentale per rilanciare l’Italia, perno decisivo per la tenuta della costruzione europea, tenerla a debita distanza dalla Cina e, allo stesso tempo, contrastare le mire egemoniche tedesche sul continente. È necessario rassicurare la potente BDI (Confindustria tedesca) sulla stabilizzazione delle forniture ad alto valore della manifattura del centro-nord Italia, insostituibili per la catena del valore tedesca; imporre, allo stesso tempo, alle élite finanziarie legate alla Bundesbank un’Eurozona governata secondo i dettami keynesiani. Con buona pace degli ordo-liberisti di Francoforte, lo spread non toglierà più il sonno ai popoli europei, l’obiettivo prioritario deflazionistico della riduzione del debito e della stabilità dei prezzi sarà sostituito da quello della crescita economica per tutta l’Eurozona – e segnatamente per l’Italia, il malato più preoccupante per la sua tenuta.

Emblematico del cambio tattico di Washington il percorso della Lega, da movimento populista e destabilizzante con il suo anti-europeismo, a partito moderato, istituzionale e rappresentativo della manifattura fornitrice dell’industria tedesca, nella nuova ottica di stabilizzazione.

Con Draghi in Italia, gli americani impongono all’Europa la nuova era keynesiana: redistribuzione di ricchezza rigeneratrice all’interno dell’Eurozona e forte ridimensionamento dei propositi egemonici tedeschi.

Messe in sicurezza le retrovie, l’Impero americano potrà accelerare la morsa asfissiante sulla Cina.

Draghi, per soffocare il Dragone.