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Economia
Eurozona, con l’inflazione in calo l’occupazione è l’arma per crescere
Christine Lagarde

Eurozona, ora il rischio è la gestione del calo dell'inflazione

Se, molto probabilmente, il rischio di nuovi aumenti dei tassi di interesse da parte della Bce, sembra al momento accantonato, una nuova nube scura si sta muovendo nel’Eurozona. E’ quella della disinflazione, di come cioè la riduzione continua dell’inflazione si rifletterà sulla vita reale e sull’economia. Negli Stati Uniti il problema sembra essere stato superato grazie ai robusti sostegni del Governo durante la pandemia, ad un’occupazione boom, a salari in crescita e a consumi delle famiglie a gonfie vele. In Europa la situazione è un poco differente. I sostegni in pandemia sono stati sufficienti soltanto per mantenere il livello di ossigeno necessario per respirare, il risparmio delle famiglie si è esaurito, il costo del danaro ha fortemente ridotto la domanda di credito (mutui calati del 40%) non solo per i nuclei familiari ma pure per le imprese che hanno bisogno di rilanciarsi.

Eurozona, momenti di criticità per gli ordini sia dal mercato interno europeo che da quello estero

Sul mercato interno le aspettative di rilancio degli ordini sono abbastanza tenui dato che tutti sono nelle spesse acque. Basta pensare al nostro interscambio con la Germania che, in periodi normali è fortissimo ma, ora, con la locomotiva di Europa in recessione tecnica, non pare e non puo’ essere altrettanto vivace. E nemmeno ci si puo’ aspettare un sostegno dall’estero dato che gli scambi internazionali rimangono deboli colpendo l’industria europea, molto  dipendente dall’export. Infatti, a questo proposito, l’Ocse ha previsto una crescita debolissima del commercio mondiale nei prossimi due anni. In aggiunta a ciò i falchi di Bruxelles spingono per riattivare le regole di bilancio e fiscali del pre-pandemia che potrebbero indurirsi se affiancate dai nuovi impegni assunti dalle nazioni con gli aiuti del Covid, Italia in primis. Perchè è bene ricordarlo che non tutti gli aiuti che sono stati dati dall'Europa sono a fondo perduto e , questo, nel breve termine, peserà sui bilanci.

Eurozona, il vero segreto per la ripresa è l'occupazione

Il vero argine per difendersi da tutta questa situazione è l’occupazione, che significa maggiori guadagni per persone e famiglie, maggior potere d’acquisto e produzione più forte per il settore industriale. Fortunatamente l’occupazione ha continuato a crescere. Su questo tema l’Italia ne è un esempio virtuoso. Il tasso di occupazione nel nostro paese è salito a 61,7%. Il numero di occupati, a ottobre 2023, ha superato quello di ottobre 2022 del 2,0% (+458mila unità) anche se la media del tasso di disoccupazione è al 7,6% ben lontano dal 4% americano.

E fa bene il Governo ha sottolineare questo dato poiché solo con più occupati si potrà favorire la crescita. L’occupazione ha continuato a crescere, permettendo a molte famiglie di gestire, anche se a fatica, i mutui schizzati all’insù evitando così l’effetto domino delle insolvenze. I consumi delle famiglie, che derivano dall’occupazione, rappresentano così l’elemento cardine della lieve ripresa prevista in ambito Ocse per il 2024. E sull’occupazione scommettono anche le imprese che evitano tagli al personale scommettendo sul fatto che le difficoltà attuali potrebbero essere temporanee.

Eurozona, le imprese cercano di mantenere i livelli di occupati

Ad esempio, il comparto automobilistico e del trasporto in generale non si è ancora ripreso dalla pandemia (-4%) ma, nonostante ciò, l’occupazione è rimasta stabile (nel terzo trimestre di quest’anno era addirittura dell’1,5% superiore al livello raggiunto nello stesso periodo del 2019). Le imprese  evitano di tagliare occupati optando magari per una settimana lavorativa più corta. E questo per due motivi principali: il primo è che credono nella ripresa, il secondo è che cominciano a percepire il rischio di quello che sarà il problema del prossimo futuro, quello cioè del declino demografico con la conseguente possibile mancanza di manodopera. Con l’inflazione ridotta si dovrebbe vedere anche un lieve guadagno del potere d’acquisto, soprattutto delle famiglie. 

In Germania, ad esempio, i nuovi contratti hanno aumenti tra il 2,5 e il 3%. In ogni caso, anche l’indice dei prezzi al consumo (CPI) indica, a novembre, una minore pressione dell'inflazione di fondo, quella che misura l’aumento dei prezzi senza comprendere gli energetici e gli alimentari freschi (-0,5%). In conclusione la crescita dell’occupazione, la diminuzione dei prezzi, il maggior potere d’acquisto potrebbero essere tutte indicazioni utili a convincere la Bce a fare un cambio di rotta sui tassi, anche se, sarà molto difficile , se non impossibile, tornare al costo del denaro praticamente a zero di prima del Covid.

 

 

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