Economia
Giorgio Armani, il futuro del colosso da 13 miliardi passa a manager e famiglia: ecco come cambia la governance
Quasi 2,3 miliardi di fatturato e 2.700 negozi nel mondo: dopo la scomparsa dello stilista, il futuro del gruppo si gioca tra i dirigenti vicini al fondatore e i familiari già nel board

Giorgio Armani, cosa succede ora nel gruppo: chi sono i manager di fiducia e come cambia la nuova governance
La morte di Giorgio Armani apre una fase nuova per il gruppo che porta il suo nome. Un colosso che vale tra 11 e 13 miliardi di euro, con un fatturato di 2,3 miliardi e quasi 600 milioni di utile generato dal 2021, che dovrà ora essere guidato senza il suo fondatore. La domanda ora è una: come verranno distribuiti i poteri e chi prenderà le decisioni in un’azienda che Armani ha sempre controllato in prima persona?
Negli ultimi anni lo stilista aveva già affidato la gestione operativa a un ristretto gruppo di manager di fiducia. Al centro della macchina c’è Leo Dell’Orco, consigliere delegato e uomo vicinissimo al fondatore. Accanto a lui opera anche Daniele Ballestrazzi, chief operating officer dal 2007, considerato il braccio operativo del gruppo e responsabile del coordinamento quotidiano di produzione e organizzazione.
A completare il quadro c’è Giuseppe Marsocci, vicedirettore generale e chief commercial officer, che si occupa soprattutto dei mercati internazionali e segue la rete commerciale globale, e Michele Tacchella, responsabile della divisione EA7, del travel retail e delle analisi di competitive intelligence. È su questo asse di dirigenti che, di fatto, sono già passate molte delle decisioni operative fondamentali negli ultimi anni.
Il fronte strategico, invece, sarà condiviso con i familiari più stretti, tutti già presenti nel board. Ci sono Silvana e Roberta, le figlie del fratello Sergio, scomparso anni fa, la sorella Rosanna e suo figlio Andrea Camerana. Al loro fianco ci sarà anche Federico Marchetti, fondatore di Yoox.
Come riporta il Corriere della Sera, a garantire l’equilibrio sarà lo statuto aggiornato nel 2023, che ha ridisegnato la governance introducendo sei categorie di azioni con diritti diversi. Le più importanti, le azioni A e F, valgono circa il 40% del capitale ma controllano oltre il 53% dei voti e hanno il potere di nominare presidente e amministratore delegato. È probabile che la Fondazione Giorgio Armani sia stata collocata proprio in queste categorie, con il compito di difendere l’indipendenza del gruppo e di fare da contrappeso in futuro a eventuali tentazioni di vendita o scalata.
Dal punto di vista industriale ed economico il gruppo resta in salute. Quasi metà dei ricavi arriva dall’Europa, mentre Nord America e Asia pesano per il resto. La rete conta 27 società controllate, circa 2.700 negozi nel mondo e una produzione che resta radicata in Italia, con poli in Veneto, Piemonte, Lombardia e Trentino.
Nei prossimi giorni, con l’apertura del testamento, si capirà come verranno distribuite ufficialmente le deleghe e quali equilibri prevarranno tra manager e famiglia. La direzione però è chiara: i dirigenti storici continueranno a guidare la macchina operativa, i familiari e la Fondazione presidieranno la strategia e la proprietà, e il gruppo manterrà quell’indipendenza che Armani ha difeso fino all’ultimo momento.