Economia
Giorgio Armani, addio all'ultimo dei re: morto con lui un pezzo di Milano e di eleganza italiana che non tornerà più
La sua opera resterà nel tempo, come una sinfonia grandiosa, un capolavoro letterario e, a parte il vuoto per la scomparsa del Signor Armani, celebriamo la sua iscrizione nell'empireo degli immortali

Giorgio Armani, addio all'ultimo dei re
L'ultimo re del mondo. Non esiste una sua foto degli ultimi cinquanta anni in cui non proietti l'essenza perfetta del glamour che lo caratterizzava. Giorgio Armani è morto a oltre novant'anni dopo aver insegnato agli italiani cosa vuol dire eleganza, classe, sobrietà, certamente un progetto difficile, vista l'originale incapacità di questo popolo di sganciarsi dalla pesantezza del provincialismo.
Giorgio, il Re, ha vestito uomini e donne ma soprattutto ha raccontato al mondo una precisa attitudine così personale, da diventare modello per tutto il pianeta, la sua opera parte dagli abiti di American Gigolo, e finisce sull'ultimo red carpet di Venezia (la sua storia si è sempre intersecata con quella del cinema, una sua grande passione).
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Era ed è stato tante cose questo inventore del termine, allora inesistente, di "stilista", ha forgiato a fuoco un modello universale che non potrà essere imitato o addirittura superato, e non solo perché le sue creazioni si riconoscono ad un impatto anche superficiale: ecco questo è sicuramente un Armani, ma quello che ci affascina è che la sua cifra stilistica era già presente, fin dai primi esperimenti degli anni settanta.
Questo grande creativo/creatore ha inventato Milano, come polo estetico e antropologico, come capitale mondiale di quella moda che, dopo di lui, probabilmente scomparirà: Armani è Milano, Milano è Armani, e non potrebbe essere altrimenti, "una metonimia estetica" indissolubile
I suoi abiti hanno forgiato un carattere nuovo e un periodo storico, ancora vivo, vitale, profondamente caratterizzato e totalmente differente da tutte le altre piazze (Parigi, New York, Londra) che negli anni hanno brillato sotto i riflettori del Fashion System, in questo mezzo secolo.
Uomo schivo e concreto, architetto di un impero miliardario fatto di boutique, ristoranti, alberghi (ma anche squadre di basket storiche), capace di esprimere uno stile controllato, sussurrato, mai urlato: la "sua eleganza personale" si identificava nel carattere dei suoi abiti.
Un perfezionista sartoriale, un progettista che sapeva fare abiti, concretamente e quindi conosceva il gusto che apparteneva ad una sua clientela sempre più universale, attraverso un controllo maniacale di tutte le linee di produzione, di ogni modello firmato.
Armani non è solo una firma globale ma un principio di appartenenza, un luogo fisico che consente all'acquirente dei suoi abiti di sentirsi partecipe, socio, di un club che è l'inverso di ogni ostentazione sociale, economica e soprattutto culturale.
Con Armani muore anche un pezzo di una Milano luminescente, e scompare per sempre una stagione creativa, sempre meno localizzata e sempre più globalizzata, la capacità milanese di dettare le regole del gusto estetico al mondo, si frantuma in assenza di nuove figure geniali o semplicemente epigoni del maestro che, come ogni grande non ha allievi, ma solo pochi imitatori, col fiato corto.
Ma quella stagione, sembra estinta, lontana dai grandi gesti creativi, e il declino di Armani ha rappresentato la metafora della "scomparsa della citta" come laboratorio di creazione che viene suggellata ieri con la fine della sua parabola esistenziale, ma un discorso più ampio andrebbe fatto per il design, con il salone del mobile sempre più simile ad una festa di paese, l'arte, con la scomparsa delle gallerie importanti, e tutte le altre discipline artistiche di cui la moda è stata un baluardo.
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La scomparsa di Milano è nell'incapacità di produrre modelli, tranne quelli che finiscono nelle maglie della magistratura, ma rimane grande nel produrre progetti di comunicazione senza vera sostanza.
Armani dunque, come baluardo ad una universalizzazione della città con conseguente perdita dell'anima e di ogni peculiarità, come assedio alle sue caratteristiche estetiche più profonde: Milano che insegnava al mondo diventa una Città-Mondo uguale a tante altre megalopoli indifferenziate, questo è l'insegnamento più grande purtroppo disatteso.
Armani come contrasto alla spettacolarizzazione, agli sprechi, alla comunicazione, alle idee blande (vedi discorso per il conferimento della laurea honoris causa, a Piacenza), legato all'origine del principio stesso della moda: rendere semplicemente migliori gli uomini (e le donne, ovviamente), teoria possente e assiomatica da cui non si è mai allontanato, neppure per una collezione.
Gli ultimi cinquant'anni dalla fondazione di GIORGIO ARMANI ad oggi saranno ricordati come l'era in cui dai piccoli atelier si è passati agli imperi del Made in Italy, e lui ne è stato uno dei principali apostoli, un profeta ascoltato e celebrato.
L'eredità che lascia è principalmente culturale, perché l'invenzione di uno stile unico, riconoscibile, è come la creazione di un movimento artistico d'avanguardia, e Armani è riuscito a portare "la sperimentazione" al livello della "classicità".
Per questo la sua opera resterà nel tempo, come una sinfonia grandiosa, un capolavoro letterario, e a parte il vuoto per la scomparsa del Signor Armani, celebriamo, oggi, la sua iscrizione nell'empireo degli immortali, glielo dobbiamo, e per essersi opposto prepotentemente alla "scomparsa di Milano".
“Basta spettacolarizzazione, basta sprechi [...] basta con la moda come gioco di comunicazione, basta con le sfilate in giro per il mondo, al solo scopo di presentare idee blande. Basta intrattenere con spettacoli grandiosi che oggi si rivelano per quel che sono: inappropriati, e voglio dire anche volgari. Basta con le sfilate in tutto il mondo, fatte tramite i viaggi che inquinano", Giorgio Armani.