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Economia
"Mezzogiorno in progress", le previsioni dell'Osservatorio Banche Imprese

Tra qualche giorno, l’Italia sarà in quarantena ormai da oltre un mese. E probabilmente continuerà anche per le prossime settimane. Con l’Italia anche gran parte del suo sistema economico è fermo. Anche il sistema economico dovrà affrontare non poche difficoltà post emergenza e queste si andranno a sommare a quelle accumulate durante l’emergenza. L’apparato produttivo è in blocco pressoché totale da alcune settimane e risente degli effetti dell’epidemia da oltre un mese. E la tanto auspicata normalità non sarà un automatico ritorno al passato ma dovrà mettere in conto più di qualche farraginosità e difficoltà connesse allo stato di salute delle imprese considerate all’interno delle rispettive filiere e dello stato di salute dei mercati di approvvigionamento oltre che di sbocco. E’ questa la fotografia di “Mezzogiorno in progress, non siamo meridionalisti. Convivere con l’emergenza” a cura dell’Osservatorio Banche Imprese e di un documento a firma del presidente Salvatore Matarrese (nella foto) redatto e sottoscritto da trentacinque economisti, sociologi, imprenditori e statistici.

Lo Stato di salute delle imprese, filiere, mercati.                                                                                                    Secondo lo studio è evidente che il malessere delle imprese si manifesterà in funzione di una serie di parametri, tutti estremamente negativi. Il fatturato, prima di tutto, che potrà, nei casi peggiori, essere sceso a zero. I costi fissi, che continueranno ad esercitare la loro pressione. La liquidità, che peggiorerà drasticamente. Gli investimenti in essere, che subiranno un blocco con negativi riflessi su tutti i parametri aziendali. I mercati di approvvigionamento, che subiranno a loro volta delle oscillazioni che potrebbero riflettersi sui costi. I mercati di sbocco, che presenteranno delle resistenze rilevanti prima di tornare alla dimensione fisiologica, soprattutto con riferimento ai mercati esteri. Esiste un rischio che le filiere internazionali possano subire dei blocchi temporali con conseguenze negative sui consumi e sulle produzioni.

Verso gli Stati Uniti d’Europa                                                                                                                                     In gioco resta il destino dell’Europa con il destino dell’euro. La solidarietà tra gli Stati è tuttora zoppicante ma si fa strada la necessità, se non altro, di provvedimenti straordinari per fronteggiare l’emergenza sanitaria e salvaguardare l’economia dei partner europei e di tutto l’intero Continente. L’alternativa all’assunzione della piena responsabilità europea nella gestione dell’attuale crisi sarebbe il fallimento dell’Europa che tuttavia non eviterebbe le derive pericolose verso l’implosione delle economie dei singoli stati. L’ipotesi più concreta è quella di un’inflazione controllata e programmata che, se guidata dell’Europa, potrà essere pilotata senza grandi problemi, se lasciata ai singoli stati potrebbe tradursi in catene di fallimenti.

Il mercato interno europeo                                                                                                                                      Ma, rileva l’Obi, vi è un altro aspetto che dovrebbe spingere verso l’Europa. Sino ad oggi la crescita dei singoli sistemi produttivi nazionali è stata affidata alle esportazioni! Da domani non sarà più così o almeno non nelle dimensioni che abbiamo sin qui conosciuto! Tornerà fondamentale il mercato interno per crescere. Ed allora organizzare il mercato europeo che conta 500 milioni di consumatori diventa prioritario. E per questo diventa indifferibile la costituzione degli Stati Uniti d’Europa. Inoltre, gli Stati Uniti d’Europa avranno forza, tecnologia e sapere per creare lo spazio economico (e chissà in futuro anche politico) del Mediterraneo che unisca i tre continenti che su di esso affacciano.

Si tratta di uno spazio di oltre un miliardo di cittadini (con grandi prospettive di sviluppo tuttora inespresse) che può muoversi come un grande spazio interno.

Le previsioni                                                                                                                                                                  È difficile formulare previsioni su uno scenario che non ha precedenti recenti e la cui evoluzione è ancora incerta. Se, come è probabile, il contagio in Italia dovesse quasi annullarsi entro metà maggio, allora la caduta del Pil nel 2020 potrebbe essere inferiore al 10% su base annua e la ripartenza nel 2021 potrebbe registrare una crescita a due cifre. Ci sono tuttavia vari rischi al ribasso, legati al perdurare della crisi sanitaria e soprattutto alla lentezza della ripresa, in mancanza di una robusta e stabile domanda estera. Per il Mezzogiorno si prefigurano due scenari opposti: da un lato un quadro in cui ad una caduta di attività lievemente inferiore nella prima parte del 2020 seguirà una ripresa stentata, pregiudicata da una cattiva stagione turistica; dall’altro una previsione in cui la diffidenza verso mete extranazionali favorirà proprio i viaggi e soggiorni nel Sud e isole.

Al momento l’attività continua solo in alcuni settori considerati essenziali, che rappresentano meno del 50% della capacità produttiva totale. In queste condizioni, si può stimare che ogni mese di isolamento determina una perdita dell’ordine di 75 miliardi di Pil. Al momento non si sa ancora se e come potrà riprendere la produzione ai ritmi ordinari anche perché nel frattempo è in ancora netto peggioramento la situazione sanitaria nei nostri principali mercati di sbocco. Ipotizzando che in Italia il contagio termini entro la metà di maggio, la perdita di Pil nel primo trimestre del 2020 dovrebbe attestarsi al 10% su base annua (-10% anche sul quarto trimestre del 2029), mentre quella nel periodo aprile-giugno potrebbe toccare il 17% su base annua (-7.5% sul trimestre precedente). Se la ripresa iniziasse abbastanza rapidamente dopo la fine dell’isolamento, si potrebbe registrare una crescita su base trimestrale già nel periodo luglio-settembre, con un rimbalzo di oltre il 10% rispetto al trimestre precedente (e una caduta di quasi il 7% su base annua).

Se i livelli produttivi di fine 2019 fossero recuperati già nel corso del quarto trimestre dell’anno in corso, si potrebbe avere un aumento del Pil del 7% su base trimestrale, chiudendo l’anno con una perdita complessiva dell’8,5% sul 2019. L’anno successivo si può ipotizzare un rimbalzo, favorito sia dal confronto statistico rispetto al crollo del 2020, sia dall’accelerazione di alcune produzioni (particolarmente nella filiera del turismo e ristorazione ed in quella dei beni durevoli e semidurevoli, i cui acquisti sono stati forzatamente compressi durante l’emergenza sanitaria). Se questo scenario favorevole si verificasse, potremmo registrare un balzo del Pil su base annua anche superiore al 10%. Basterebbe tuttavia un ritardo di qualche mese per tornare alla normalità e un riavvio meno dinamico (anche a causa dello smaltimento delle scorte accumulate nella prima parte di marzo, prima del lockdown) per far registrare una caduta del Pil di oltre il 10% nel 2020 e una ripresa attorno al 7% l’anno dopo. Al momento, non si intravvedono invece motivi per disegnare uno scenario più ottimistico di quello base.

In questo quadro, risulta difficile pensare di finanziare interventi a favore di famiglie e imprese ricorrendo ad ulteriore debito (per concedere credito oppure sussidi a fondo perduto). Anche limitandosi ad indennizzare solo metà delle perdite di reddito subite, le somme da impegnare dovrebbero sfiorare i 100 miliardi anche se la crisi terminasse a metà maggio. Anche ricorrendo a canali di finanziamento agevolato sarebbe difficile reperire sul mercato le risorse necessarie a fronteggiare la crisi di famiglie e imprese. In queste condizioni, sarebbe auspicabile un intervento monetario straordinario, come quello attuato in Usa, Uk, Cina e Giappone, dove le banche centrali hanno finanziato direttamente gli interventi pubblici emettendo moneta, pratica non consentita invece alla Bce, almeno allo stato dei fatti.

 

 

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