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Economia
Parmalat e i gochini dei francesi. Così ci hanno sfilato il "gioiellino"

E così, nel silenzio più totale, ci siamo giocati anche “il gioiellino”. Come hanno dimostrato le esperienze precedenti di Fca e Luxottica, una volta che sposti il quartier generale e tutti i graduati hai perso ogni tipo di potere, di controllo, la gestione e la titolarità dell’azienda. Addio Parmalat, dopo che l’Italia, azionisti, obbligazionisti e dipendenti hanno versato lacrime e sangue per risanare un’azienda che industrialmente era già sana, ma finanziariamente soffriva di polmonite, in perfetto stile napoleonico sono arrivati i francesi di Lactalis e ce l’hanno sfilata di sotto il naso. Parmalat è un’azienda privata, e questa è la legge di mercato, stupisce che nessuno, tra Stato italiano e imprenditori del made in italy, abbia solo minimamente provato a mettersi di traverso. Ci provò Granarolo, ma ebbe l’effetto di una piuma.

Nel Novembre del 2011, emulando la proposta di Giuliano Melani, imprenditore che, pagando, fece pubblicare su tutti i principali quotidiani l’iniziativa “ricompriamoci il nostro debito”, scrissi su Panorama Economy che l’unica possibilità per mantenere l’italianità di Parmalat sarebbe stata quella dell’azionariato popolare. In inglese, che fa più figo, si chiama Public Company, qualcosa di cui la finanza italiana prova profonda allergia. Cittadini di Parma, emiliani, ma anche romagnoli e tutti gli italiani, perché non prendere una piccola parte di quella mucca da latte che ora è tornata a fare utili a litri?

Sarebbe stato un investimento strategico, di difesa della competitività nazionale e molto remunerativo, visto che Parmalat stacca una bella cedola ogni anno.

Una proposta caduta nel vuoto, l’unica cosa che ha comportato a creare il fallimento finanziario di Parmalat è stato “patti chiari”, nuove regole, faldoni per azzeccagarbugli che hanno ottenuto come unico risultato l’allontanamento del pubblico dei risparmiatori oltre ad aver ancor più complicato la comprensione del sistema degli investimenti. Quello che più incuriosisce, usiamo questo termine, è che Lactalis questa operazione se l’è ripagata con parte della generosa cassa in pancia della stessa Parmalat. I numeri non lasciano spazio a dubbi: una scalata a debito di 3,3 miliardi di euro, finanziata con la liquidità dell’azienda acquisita che in cassa ne aveva 1,5 miliardi. Qualcosa del genere l’abbiamo vista in Seat, mi pare fosse il 2004, ma in quel caso i private equity non solo con la cassa si pagarono la scalata, ma si gratificarono anche staccando la cedola di un corposo dividendo straordinario. Altra epoca, quella era pura fantascienza finanziaria. Peccato, perché è proprio in casi come questi che emerge la sottomissione e la sudditanza dell’Italia incapace di fare squadra e sistema, mentre noi dobbiamo faticare per avere quell’1% che ci consente maggioranza in Fincantieri-Stx, i francesi sfondano la porta, prendono Parmalat e se la portano nel Louvre della finanza.

Una sottomissione al fascino francese, sembra, anche con la menzogna, perché inizialmente i progetti di Lactalis su Parmalat erano altri, e forse erano proprio quelli ad aver convinto a farsi conquistare amichevolmente. Vogliamo sviluppare il piano industriale nel rispetto dell’italianità della multinazionale di Collecchio, mantenendo la sede in Italia, salvaguardando gli asset produttivi, i dipendenti e la filiera italiana del latte, nell’interesse dell’economia del territorio. Abbiamo un progetto di crescita ambizioso per Parmalat: farne il gruppo italiano di riferimento nel latte confezionato a livello mondiale, con sede, organizzazione e testa in Italia. Purtroppo la memoria corre, le notizie scappano e a volte anche le promesse si dimenticano, è la legge dell’economia digitale che ha cambiato tutto. Quello che invece non cambia è l’atteggiamento della finanza, dove per assecondare il profitto si cambiano le carte in tavola a partita in corso, e quelle che prima erano logiche industriali, oggi si trasformano in strategie di massimo rendimento. Un atteggiamento tipico della grandeur francese che sempre più emula il comportamento degli squali di Wall Street.

Peccato, abbiamo disperso e vanificato il duro lavoro di Enrico Bondi, il grande risanatore, che dopo aver salvato Parmalat, azzerato il debito e riportato l’utile, aveva messo la grande mucca su un vassoio d’argento. Purtroppo alla Pianura Padana, la mucca ha preferito i verdi prati della cittadina agricola di Laval. C’est la vie.

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