Povero Elon, senza i 56 miliardi di stipendio che fine farà? E Tesla cerca di ribaltare la sentenza del Delaware - Affaritaliani.it

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Povero Elon, senza i 56 miliardi di stipendio che fine farà? E Tesla cerca di ribaltare la sentenza del Delaware

Il maxi-compenso da 56 miliardi è stato annullato, Tesla valuta come (e se) premiarlo ancora, ma vendite in calo e promesse mancate mettono in dubbio il suo ruolo

di redazione economia

Musk non convince più: il mito traballa e Tesla cerca un nuovo equilibrio

Elon Musk non ne azzecca più una. È passato da Re Mida della Silicon Valley a protagonista di una tragicommedia giudiziaria-finanziaria che nemmeno un film dei fratelli Coen riuscirebbe a mettere in scena con altrettanta ironia involontaria. L’ultima? Il consiglio di amministrazione di Tesla ha messo su un comitato speciale per capire come (e se) pagarlo di nuovo. Ma non temete: lo fanno per “trattenere una figura dalla visione radicale”. O almeno, così dicono.

Già, perché il pacchetto da 56 miliardi di dollari – quello del 2018, un mix di stock option e iperbole – è stato annullato a gennaio da un tribunale del Delaware. Una botta da niente, che ha fatto infuriare Musk al punto da twittare: «Non costituite mai la vostra società nello stato del Delaware». Tradotto: lui, che voleva colonizzare Marte, adesso fugge dalla Terra… pardon, dal Delaware, il santuario del capitalismo societario americano. La chiamano Dexit – come Brexit, ma con più cause civili e meno ironia british.

Il problema, però, non è solo legale. È filosofico. Cosa deve fare (e guadagnare) un visionario alla guida di un’azienda che da produttore di auto elettriche vuole trasformarsi in laboratorio ambulante di AI e robotica umanoide? Se la risposta è “56 miliardi”, forse la domanda è sbagliata.

Il consiglio di Tesla – con Robyn Denholm e Kathleen Wilson-Thompson a guidare il comitato – ora cerca un compromesso: un nuovo schema di stock option ancorato a risultati tangibili. Peccato che nel frattempo le vendite rallentino, la concorrenza cinese avanzi e le promesse di robotaxi continuino a sembrare più fantascienza che prodotto industriale. Musk, che conserva ancora il 13% delle azioni, è sempre al centro. Ma il suo carisma vacilla. Non è più il demiurgo infallibile che lanciava razzi e tweet con la stessa leggerezza.

Il punto è che Elon, da quando si è messo a fare il “capo di Doge”, sembra più impegnato a inseguire provocazioni che a costruire strategie. Ha litigato con gli ESG, con l’Europa, con i sindacati e persino con l’arbitro supremo del capitalismo d’oltreoceano: il tribunale del Delaware.

E allora viene da chiedersi: è ancora l’uomo giusto per guidare Tesla nel futuro? O è rimasto solo il personaggio, l’influencer da 190 miliardi, che alterna dichiarazioni sopra le righe e cambi di sede legale come fossero location di un tour mondiale?

Nel frattempo, il board giura fedeltà. Musk non si tocca, dicono. Nessun successore all’orizzonte. Ma intanto si preparano al piano B, al piano C, e forse al piano Z. E mentre i giudici aumentano la pressione, gli investitori si chiedono se valga ancora la pena scommettere su un uomo che oggi vuole salvare il mondo e domani vendere fiamme ossidriche su Amazon.

Nel dubbio, l’unica certezza è che perfino per uno come Musk, senza uno stipendio da 56 miliardi, la vita diventa dura. E se anche lui comincia a perdere colpi, allora sì che il sogno americano ha bisogno urgente di una ricarica. Magari elettrica.

 

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