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Economia
Risparmi, l'euro non scende? Gettonare le azioni europee. Ecco quali

di Luca Spoldi

Alzi la mano chi non ha pensato, all’indomani delle decisioni annunciate da Mario Draghi a inizio marzo, che l’euro avrebbe dovuto perdere quota. Invece, almeno per il momento, a mostrare ulteriori segnali di debolezza è stato, abbastanza a sorpresa, il dollaro, complice l’estrema cautela mostrata dalla Federal Reserve riguardo le prospettive della crescita negli Stati Uniti. La banca centrale americana non solo ha mantenuto fermi la scorsa settimana i tassi sul dollaro, tagliando da quattro a due i rialzi, da un quarto di punto percentuale ciascuno, previsti nel corso dell’anno (il primo a questo punto dovrebbe essere a giugno), ma ha anche limato le previsioni macro: il Pil quest’anno dovrebbe salire negli States del 2,2% (e non del 2,4% come previsto a dicembre), l’inflazione risultare pari solo all’1,2% (e non all’1,6%), la disoccupazione scendere al 4,7% (come già ci si attendeva a dicembre).

Risultato: il dollaro è tornato sotto pressione mentre l’euro oscilla a circa 1,117 contro il biglietto verde anche dopo gli attentati di Bruxelles, contro gli 1,09 di inizio anno, dopo un massimo a 1,1328 toccato il 17 marzo. Un euro forte rischia di penalizzare gli esportatori e avvantaggiare gli importatori.

Ma quali sono i settori in cui si potrebbe puntare per trarre vantaggio di questo inatteso quadro dei cambi
, che non sembra destinato a mutare tanto rapidamente, salvo il non auspicabile impatto di ulteriori attentati o guerre? Nei settore della chimica di base, dove i prodotti sono fondamentalmente indifferenziati, il dollaro debole può avvantaggiare i produttori con costi di produzione più bassi, a discapito di altri produttori meno efficienti. Meno marcato l’effetto sul settore automobilistico, dove un gruppo come Fiat Chrysler Automobiles ormai produce e vende direttamente nel mercato Usa anche se il dollaro debole, sostenendo indirettamente le quotazioni petrolifere, espresse in dollari, rischia con avere un impatto negativo in termini di maggiori costi del carburante (impatto che per ora resta comunque modesto).

Un dollaro debole fa bene alle compagnie aree del vecchio continente, visto che mentre i biglietti sono emessi in euro (o sterline), il carburante si paga in dollari: Lufthansa e Air France-Klm peraltro sono sempre impegnate nella loro lotta con le low cost come EasyJet e Ryanair, quindi chi voglia provare a investire tenga d’occhio l’andamento dei margini di profitto e dei coefficienti di riempimento degli aerei, più che solo gli alti e bassi del dollaro. I titoli del cemento e delle costruzioni potrebbero avere una spinta dal dollaro debole almeno pari a quella legata al permanere più a lungo del previsto di uno scenario di tassi prossimi a zero. Il dollaro debole, tra l’altro, sostiene come detto le quotazioni delle materie prime (espresse in dollari) e questo significa indirettamente dare una mano ai paesi emergenti, che di materie prime sono solitamente esportatori, con l’eccezione della Cina.

Tra i gruppi italiani Buzzi Unicem è più esposto, fuori dall’Italia, nell’Europa Centro Orientale e negli Usa, mentre Italcementi ha maggiormente puntato a espandersi in Asia: tenetene conto perché in questo momento Brasile e Russia presentano le situazioni più delicate, la Cina è in frenata, gli Usa pur senza scoppiare di salute sembrano non avere particolari problemi. Al contrario, soffrono un dollaro debole, ovvero un euro forte, i produttori di lusso del vecchio continente che esportano in tutto il mondo, come i francesi Lvmh e Kering ma anche gli italiani Salvatore Ferragamo e Prada. Meglio in questo caso privilegiare chi come Moncler realizza una frazione cospicua del proprio giro d’affari in Italia (19%) ed Europa (33%), oltre che Asia (34%) e meno negli Usa (14%).

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