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Economia
Salvare un Paese insalvabile

Fabio Tamburini, sul solitamente prudente Sole 24 Ore di ieri, scrive un articolo drammatico. E poiché di solito sono accusato di eccessivo pessimismo, riporto ampi passaggi di questo articolo. Per la cassa integrazione, “la crescita è stata esponenziale, in particolare di quella straordinaria, cioè dell'anticamera dei licenziamenti”. Il “ il rimbalzo”, cioè il rilancio economico previsto dal ministro Gualtieri, “è tutto da verificare”. L’elenco degli attuali problemi è tremendo: “ la produzione è ferma, l'export diminuisce, gli investimenti sono in caduta libera, il mercato interno è in calo”. “Il quadro d'insieme giustifica allarme e preoccupazione”. Il mondo dell’economia lamenta “lo sblocco dei grandi lavori” e chiede la liberazione da una “burocrazia soffocante che è sempre più insopportabile”. “L'Italia[è] maglia nera in Europa”. Tanto che si registra “la reazione negativa d'intere parti del Paese, dalle imprese ai liberi professionisti e perfino ai magistrati”. “Attenzione: siamo, per quanto riguarda l'economia italiana, all'ultimo giro”. Né si può dire che il governo abbia fatto qualcosa di veramente utile per contrastare questa drammatica deriva: al contrario, con alcuni suoi provvedimenti esso ha contribuito “non poco alla frenata degli investimenti: dalla riforma del ministro della Giustizia Bonafede sulla prescrizione al sequestro preventivo per i reati societari, fino al salario minimo che rientra nel filone del reddito di cittadinanza, misure assistenziali e non incentivi alla crescita”. Che altro aggiungere?

Non è necessario avere chissà quale straordinaria competenza per concludere che il quadro è troppo negativo per sperare in una decisiva correzione di rotta. In questo senso il tono drammatico di Tamburini è fuor di luogo. Infatti non è che queste cose siano improvvisamente divenute visibili mentre prima non lo erano. Per chiunque abbia occhi per vederli, e coraggio sufficiente per ammetterli, questi enormi errori sono evidenti da anni, alcuni da decenni. E se non si è fatto niente fino ad ora, Tamburini può star tranquillo che non si farà niente nemmeno nel prossimo futuro. Nemmeno se si cambia governo, nemmeno se va al potere il centrodestra, e nemmeno nel lungo termine. Se una “speranza” c’è, è che l’Italia si renda veramente conto di avere bisogno del medico. Ma lo farà soltanto sul letto di morte, come quei vecchi che rimandano costantemente la stesura del loro testamento, talmente gli costa l’idea di separarsi dai loro beni. Per l’Italia, dai propri mali.

L’allarme è giustificato ma inutile. Molti si occupano della diatriba fra Matteo Renzi e Giuseppe Conte, altri – quelli capaci di interessarsi ai massimi sistemi - parlano di ecologia, e dell’Italia che affonda non si occupa nessuno. Se AirItaly fallisce, si pensa subito a fornire un reddito ai suoi dipendenti, a spese dello Stato. Non che la sorte di quei lavoratori possa lasciarci indifferenti, ma non lo siamo neppure per i dipendenti dell’ex Ilva, della Whirlpool, delle migliaia di aziende fallite, delle decine di migliaia di negozi chiusi, e via dicendo. Non è che non bisogna soccorrere i dipendenti dell’AirItaly, la domanda è: ci sono i soldi per tutti, indefinitamente? E chi pagherà queste somme, se le imprese chiudono e non pagano più tasse? Se avessimo il potere di disporre della nostra moneta, se potessimo vivere tutti a spese della Zecca, e se le banconote fossero digeribili, potremmo mangiare carta. Ma attualmente queste condizioni non esistono. E allora: il problema è AirItaly o è l’Italia? Ma questo discorso non lo fa nessuno, e dunque Tamburino parla al vento.

È proprio avendo continuamente presente qual è il vero problema del mio Paese che non ho più voglia di parlare di politica. L’ho già scritto cento volte: dobbiamo cambiare modello socio-economico, cominciando con lo smettere di odiare l’impresa privata. Ma dal momento che a questo nessuno è disposto, preghiamo l’orchestrina di continuare a suonare, perché qui i passeggeri crederanno che l’acqua è gelata soltanto quando ci saranno dentro.

 

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