Non solo intelligence, il Mef come ministero della sovranità nazionale: perchè l'Italia ha bisogno di salvaguardare la sicurezza economica - Affaritaliani.it

Economia

Ultimo aggiornamento: 11:24

Non solo intelligence, il Mef come ministero della sovranità nazionale: perchè l'Italia ha bisogno di salvaguardare la sicurezza economica

Perché l’Italia ha bisogno di un servizio civile di protezione economica, complementare ai Servizi di intelligence e capace di difendere asset industriali e finanziari

di Raffaele Volpi

Verso un SISSE italiano: la sovranità economica come sicurezza nazionale

La guerra economica è ormai un fatto acquisito. Non è più un concetto da conferenze specialistiche, ma la dimensione concreta in cui si gioca la competizione globale. Le crisi delle catene di fornitura, la corsa ai semiconduttori, la protezione dei dati industriali, gli investimenti usati come leve di influenza: tutto ci dice che la difesa e la sicurezza non si esauriscono più nei confini militari, ma riguardano in modo diretto il patrimonio economico e finanziario di un Paese.

La Francia ha da tempo imboccato questa strada con il SISSE, un servizio civile incardinato al Ministero dell’Economia. Non si tratta di un apparato segreto, né di una duplicazione dei servizi di intelligence, ma di una struttura amministrativa che accompagna le imprese, monitora gli investimenti esteri, protegge il know-how e dialoga in modo costante con le agenzie di sicurezza nazionale. È un modello che dichiara con chiarezza un principio semplice: la sovranità economica è parte integrante della sicurezza nazionale.

L’Italia ha strumenti diversi. Il Golden Power, gestito dalla Presidenza del Consiglio, interviene nei casi in cui un’acquisizione straniera tocca settori sensibili. I servizi di informazione, coordinati dal DIS, hanno competenze e capacità riconosciute per la difesa degli interessi nazionali. Ma esiste una lacuna evidente: manca un braccio civile di sicurezza economica in grado di anticipare i rischi, di leggere i segnali deboli, di tradurre le informazioni in linee di protezione e sviluppo. E manca soprattutto al centro vero del potere industriale e finanziario dello Stato, il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

È lì che si concentrano le partecipazioni più rilevanti. Attraverso il Tesoro e la Cassa Depositi e Prestiti, il MEF governa Eni, Enel, Poste Italiane, Ferrovie dello Stato, Terna, Leonardo, Sace e, soprattutto, Fincantieri. La più grande azienda italiana di costruzioni navali, leader internazionale e asset strategico in senso stretto, è una controllata di CDP e quindi parte della galassia del Ministero dell’Economia. Questo intreccio fa del MEF, nei fatti, il ministero della sovranità economica italiana.

Ma il discorso non si ferma qui. Accanto agli asset industriali, c’è il nodo altrettanto delicato del sistema finanziario e bancario. Le vicende recenti lo dimostrano: le mosse del governo nei dossier bancari, i rischi di concentrazione, i giochi di forza tra grandi istituti e i tentativi di influenza estera sul nostro credito sono ormai parte integrante della geopolitica economica. La stessa attenzione che viene riservata a fusioni e acquisizioni bancarie, alle partite aperte su Mediobanca, MPS, Banco BPM, alle strategie di rafforzamento del sistema nazionale dimostra che la finanza non è più soltanto un settore regolato, ma un terreno di sicurezza nazionale. Un SISSE italiano dovrebbe quindi avere la capacità di leggere anche il risiko bancario, di segnalare operazioni a rischio, di valutare gli impatti sistemici che non sempre emergono nella normale dialettica di mercato.

In un contesto simile, immaginare la nascita di un Servizio per la Sicurezza Economica dentro il MEF non significa sottrarre competenze a Palazzo Chigi o ai Servizi di informazione, ma costruire un complemento. Sarebbe una struttura con missione analitica e di policy, capace di monitorare in modo continuativo gli asset strategici, di segnalare operazioni potenzialmente rischiose, di rafforzare la cultura della protezione informativa nelle grandi partecipate pubbliche e nelle filiere produttive esposte alla predazione straniera. Una struttura che non opera nel segreto, ma che sa dialogare con i Servizi, convogliando verso il Golden Power i dossier che meritano attenzione e, al tempo stesso, offrendo al governo una lettura integrata delle vulnerabilità economiche e finanziarie.

La filosofia è chiara: riconoscere che la protezione degli asset industriali e finanziari è parte della sicurezza nazionale, ma che va gestita anche come politica economica. L’Italia non ha bisogno di duplicare ciò che già funziona, ma di aggiungere un tassello mancante, un punto di raccordo tra il mondo finanziario e industriale che fa capo al MEF e il sistema centralizzato di intelligence che dipende dalla Presidenza del Consiglio. Sarebbe un modo per anticipare i rischi, non solo per reagire quando esplodono, e per rafforzare la capacità dello Stato di difendere e promuovere i suoi campioni nazionali.

In un’epoca in cui la guerra economica è palese, in cui persino gli alleati si muovono con logiche di competizione serrata, non è più il momento di domandarsi se serva o meno una simile struttura. La vera domanda è quanto tempo possiamo ancora permetterci di aspettare prima di dotarci di un “SISSE italiano”.