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Economia
Tim, finisce il lungo impoverimento. Il gruppo torna a comprare in Brasile
LaPresse

Telecom Italia (Tim) subito in luce a Piazza Affari, col titolo che rimbalza attorno ai 37,5 centesimi per azione in crescita del 2% (dopo aver segnato anche un +6% in apertura) rispetto al minimo degli ultimi 25 anni (37 centesimi) visto ieri, grazie ai buoni conti del 2019, ai migliorati obiettivi del nuovo Piano Strategico 2020-2022 e al ritorno per la prima volta dal 2013 al dividendo ordinario (1 centesimo a titolo) annunciati dalla società. Ma il vero motivo d’interesse è un altro.

Telefonica Brasil, controllata dalla spagnola Telefonica e principale operatore mobile brasiliano attraverso Vivo, e Tim Participacoes, società controllata al 66,6% da Tim terzo operatore telefonico del Brasile per fatturato, hanno ieri segnalato alle autorità brasiliane di essere interessate a negoziare un’offerta congiunta per l’acquisto di Grupo Oi. Oi (già noto come Telemar) è il principale gestore di telefonia fissa e il quarto gestore mobile in Brasile, e dopo essersi fuso nel 2013 con Portugal Telecom, poi ceduta per 7,4 miliardi di euro al gruppo francese Altice due anni dopo, nel giugno 2016 ha presentato domanda di protezione fallimentare da 19 miliardi di dollari (il maggior fallimento della storia del Brasile).

Tim Partecipacoes e Telefonica Brasil hanno ora informato l’adviser finanziario di Oi, Bank of America Merrill Lynch, del proprio interesse ad avviare trattative per una potenziale acquisizione congiunta totale o parziale del gestore brasiliano.

Se l’offerta dei due ex soci (Telefonica uscì da Tim nel 2014, in contemporanea con l’ingresso di Vivendi) fosse accettata, Tim Partecipacoes e Telefonica Brasil si dividerebbero poi le attività di Oi che da parte sua in una nota separata ha dichiarato di ritenere che la mossa sia stata fatta “per sondare il mercato” e dimostra che c’è interesse per le sue attività mobili che la società sta provando a cedere dallo scorso autunno per evitare l’insolvenza. C’è naturalmente da attendere la reazione di Claro (controllata da America Movil), secondo gestore telefonico brasiliano, e l’esito delle trattative ma già il fatto che Tim Partecipacoes, di cui molte volte in passato si era ipotizzata la cessione da parte di Tim, torni a puntare sulla crescita anche per linee esterne implica un cambio di rotta di 180 gradi dell’ex monopolista telefonico italiano.

In questi ultimi 20 anni, infatti, Tim ha progessivamente ceduto asset tra cui Italtel, Sirti, Sogei, Telespazio, Finsiel, Loquendo, La7, Elettra e Persidera, oltre alle controllate Tim Hellas e Telecom Argentina. Una lunga operazione di pulizia e focalizzazione del portafoglio dovuta alla necessità di alleggerire l’indebitamento netto, passato in termini rettificati dai 33,95 miliardi di fine 2009 (rispetto agli 8,1 miliardi del 1999, ante Opa Colaninno-Gnutti) a 23,8 miliardi alla fine dello scorso anno (al ritmo di circa un miliardo in meno all’anno) che però ha finito col ridurre anche la capitalizzazione di borsa, ormai pari a meno di 8 miliardi di euro rispetto agli oltre 39 miliardi di euro a fine 2007. Una minuscola frazione di quei 114 miliardi di euro che Telecom Italia valeva a fine febbraio 2000, quando le quotazioni toccarono i 20,35 euro per azione e il gestore telefonico italiano da solo rappresentava il 13% dell’intera capitalizzazione della borsa italiana, senza contare che all’epoca Tim era quotata separatamente e capitalizzava altri 103 miliardi circa (il 12% della capitalizzazione di borsa totale).

Come dire che da allora ad oggi mancano all’appello quasi 209 miliardi di capitalizzazione di mercato, pari ad oltre 26 volte i livelli attuali. Riavvicinarsi ai fasti di inizio millennio sarà molto difficile, semmai dal Brasile potrà arrivare a breve il segnale che il gruppo si è lasciato definitivamente alle spalle un ventennio di “lacrime e sangue” e può ora essere protagonista, almeno a livello regionale, di un processo di aggregazione del comparto delle telecomunicazioni che potrebbe accelerare proprio a seguito di una fusione tra Tim e Open Fiber.

Luca Spoldi

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