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Esteri
Afghanistan, nessun piano americano per portare fuori i collaboratori afgani

“Noi siamo americani e voi, afghani, non siete un …..” avrebbe detto un Alberto Sordi di fronte alla drammaticità delle migliaia di persone che hanno cercato, in questi due giorni,  in tutti modi di entrare in qualsiasi oggetto che fosse a forma di aereo. Purtroppo non c’è nulla da ridere perchè la situazione a Kabul è drammatica soprattutto per tutti quelli che, per vent’anni, hanno lavorato a fianco delle truppe occupanti.

Washington tuttavia, al momento, non ha previsto nessun piano per aiutarli ad uscire dal paese. John Kirby, portavoce del Pentagono, ha infatti confermato che non vi è nessuna intenzione e tantomeno piano per aiutare gli afgani collaboratori degli americani di altre parti del Paese a raggiungere il terminal.

Migliaia di autisti, interpreti e lavoratori di vario genere rimarranno cosi in balia delle vendette talebane che, sembra, siano già cominciate.

“Gli Stati Uniti hanno l'obbligo di aiutare queste persone e le loro famiglie, ma adesso il governo è impegnato sulla sicurezza dell’aereoporto” ha detto Kirby.

Il Pentagono è convinto ci siano ancora tra i 5.000 e i 10.000 americani che si trovano "vicino a Kabul”. I piani prevedono prima l’evacuazione della colonia americana e poi, quando sarà possibile, delle diverse migliaia di collaboratori afgani. Un totale di circa 30.000 persone.

Adesso l'aeroporto internazionale Hamid Karzai di Kabul è aperto e i voli, anche civili, possono atterrare e decollare.

3.500 soldati statunitensi sono schierati nell'aerodromo e lunedì sono state rimpatriate più di 700 persone, tra cui 150 americani.

Secondo il Pentagono i voli di rimpatrio continueranno fino al 31 agosto. Con il sostegno di altre truppe ( fino ad un totale di 7000) nelle prossime 24 si dovrebbe arrivare ad un volo ogni 60 minuti.

Il filo diretto aperto tra Stati Uniti e talebani sembra al momento funzionare. Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Joe Biden, ha confermato l'esistenza di questo filo diretto: “I talebani sono disposti a consentire l'accesso sicuro ai civili all'aeroporto e faremo in modo che adempiano a quanto promesso . ”.

E per gli afghani bloccati?

Secondo il portavoce del Pentagono devono elaborare i loro visti e consultarsi con il Dipartimento di Stato. Tradotto “scordatevi di ottenerlo in tempi brevi e cercate di nascondervi il più velocemente possibile”.

E’ evidente che, nonostante l'esistenza di uno programma di visti creato nel 2008 per consentire loro di entrare regolarmente negli Stati Uniti, i collaboratori afgani affrontano un futuro incerto e drammatico.

Le procedure per ottenere uno di questi visti possono durare fino a tre anni. Al momento ne sono state fatte 20000.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden fra le tante dichiarazioni politicamente “traballanti” ha dichiarato che i civili afgani non sono stati evacuati prima perché "alcuni non volevano andarsene" e il governo di Kabul ha scoraggiato Washington, temendo che l’esodo di massa potesse innescare "una crisi di fiducia" nel Paese.

Circa 2.000 afgani, quelli fortunati, sono già stati trasferiti in tre complessi militari statunitensi. A loro se ne aggiungeranno altri 22.000, mentre altri 8.000 sbarcheranno in un Paese terzo. L'Albania - membro della NATO -, il Kosovo (molto grato agli Stati Uniti per il suo sostegno durante la guerra e la successiva indipendenza ) e la Macedonia del Nord si sono offerti di ospitarne un numero imprecisato. Almeno loro stanno facendo qualcosa.

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