Esteri
Assalto a Gaza City, Toninelli (ISPI): "Distruggere Hamas non porterà né pace né sicurezza. Trump un garante inaffidabile per i Paesi del Golfo"
Toninelli (Ispi): “Sarà significativo osservare l’intervento di Netanyahu all’Assemblea Generale di fine settembre, dove potrebbe arrivare ad annunciare l’annessione della Cisgiordania”

Assalto a Gaza City, Toninelli (Ispi): “Attesa una nuova fase di distruzioni e un aggravarsi delle già drammatiche condizioni umanitarie”
Altro che pace. Incessanti bombardamenti, case distrutte, civili intrappolati sotto le macerie: è questo il tragico scenario che vede Gaza vittima un altro attacco, questa volta “finale” da parte di Israele. A fare chiarezza sugli obiettivi di Netanyahu e sull’escalation del conflitto è Luigi Toninelli, Junior Research Fellow presso il Centro ISPI per il Medio Oriente e il Nord Africa, che ad Affaritaliani analizza i possibili scenari futuri per Gaza City. Pace? Assolutamente no: “La situazione è tragica e non potrà che peggiorare. È plausibile attendersi una nuova fase di distruzioni e un ulteriore aggravarsi delle già drammatiche condizioni umanitarie”.
Può spiegare quali sono gli obiettivi dichiarati da Israele con il recente assalto a Gaza City, e in che misura questi obiettivi appaiono realizzabili sul terreno?
“Innanzitutto, è necessario distinguere ciò che accade in Cisgiordania da ciò che accade a Gaza. Nel primo caso, l’obiettivo sempre più esplicito appare quello dell’annessione della parte orientale dei Territori palestinesi. A Gaza, invece, la strategia dichiarata da Israele resta la stessa dall’ottobre 2023: distruggere Hamas. Il problema, sempre più evidente, è che questo traguardo non può essere raggiunto neppure con la distruzione delle infrastrutture, l’eliminazione dei miliziani o l’assassinio dei leader politici dell’organizzazione.
Dopo quasi due anni di conflitto, una carestia, accuse ricorrenti di genocidio e oltre 60.000 morti, Netanyahu continua a tentare di sradicare con la forza una realtà complessa e radicata come Hamas. Anche nell’ipotesi estrema in cui Israele riuscisse a eliminare ogni singolo combattente, ciò non garantirebbe né la pace né una maggiore sicurezza. Al contrario, le violenze e le privazioni subite oggi da bambini e giovani rischiano di tradursi nella violenza di domani. L’esperienza di altri conflitti insegna che l’unica via percorribile resta quella del dialogo. Eppure, al momento, non sembra esserci la volontà politica di intraprendere questo percorso”.
Come sta cambiando la natura del conflitto all’interno di un ambiente urbano come Gaza City? Quali sfide incontrano le forze in azione, soprattutto con la presenza di quartieri densamente popolati?
“Il rischio che questa nuova escalation si trasformi in una catastrofe è estremamente elevato, così come quello che Israele si ritrovi a subire perdite militari significative e che parte, se non tutti, i prigionieri nella Striscia perdano la vita. Queste paure sono condivise non solo dalla società civile, ma anche dai familiari degli ostaggi e dagli stessi ambienti militari. Le fratture interne allo stato di Israele appaiono profonde, eppure Netanyahu prosegue sulla sua linea, ignorando sia le preoccupazioni interne sia le crescenti critiche della comunità internazionale”.
Quali misure sono state prese o potrebbero essere efficaci per minimizzare il rischio per i civili? E come si concilia questo con il diritto internazionale umanitario?
“Al momento, purtroppo, la sorte dei civili sembra essere messa all'ultima posizione delle priorità. Allo stesso modo, sembra esservi poco spazio per il rispetto del diritto internazionale umanitario. La situazione è tragica e non potrà che peggiorare”.
Da un punto di vista geopolitico, che impatto avrà questa escalation su rapporti con attori internazionali (ONU, USA, paesi arabi)?
“Nei rapporti con i paesi arabi sembra pesare più l’attacco in Qatar della scorsa settimana che l’esito dell’ennesima offensiva su Gaza. I firmatari degli Accordi di Abramo non sono mai stati così vicini a metterli in discussione. Inoltre, anche qualora decidessero di non fare marcia indietro sulle normalizzazioni già avviate con Israele, i paesi del Golfo appaiono sempre più consapevoli che gli Stati Uniti non rappresentano più un garante affidabile della loro sicurezza nella regione.
Washington appare infatti sempre più schiacciata sulle posizioni israeliane: le dichiarazioni di Trump e la recente visita di Rubio a Gerusalemme ne sono una dimostrazione evidente. Sul fronte delle Nazioni Unite, Israele delegittima il loro operato ormai da anni e non si intravedono segnali di cambiamento. Sarà però significativo osservare l’intervento di Netanyahu all’Assemblea Generale di fine settembre, dove – secondo alcune indiscrezioni – potrebbe arrivare ad annunciare l’annessione della Cisgiordania, proprio mentre diversi stati stanno procedendo al riconoscimento ufficiale di uno Stato palestinese”.
Quali sono gli scenari possibili per il futuro a Gaza City: cessate il fuoco, occupazione parziale, operazioni prolungate? E cosa serve affinché si arrivi a una soluzione sostenibile?
“Al momento non si intravedono spiragli di pace. L’attacco israeliano a Doha – contro la capitale del paese che più di ogni altro stava tentando di mediare per un cessate il fuoco – rappresenta un segnale chiaro della volontà di non lasciare spazio al dialogo. È quindi plausibile attendersi una nuova fase di distruzioni e un ulteriore aggravarsi delle già drammatiche condizioni umanitarie. Un cambio politico in Israele o l’interruzione del sostegno statunitense a Tel Aviv potrebbero aprire scenari diversi, ma al momento nessuna di queste ipotesi appare realistica”.