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Esteri
Coronavirus e blocco dei voli: una politica estera che sa di politica interna

C'è qualcosa che non convince, nella gestione politica del governo italiano dell'epidemia del coronavirus. Epidemia che, è bene ribadirlo, tocca al momento solamente la Cina, impegnata (dopo ritardi e omissioni) in uno sforzo titanico per contenerne la diffusione, attraverso misure senza precedenti come la quarantena che vede coinvolta, ormai da settimane, la provincia dello Hubei. 

Ormai dieci giorni fa, il governo Conte bis, attraverso il ministro della Salute Roberto Speranza e lo stesso primo ministro, ha deciso di bloccare i collegamenti aerei diretti con la Cina, includendo nella misura anche Hong Kong, Macao e Taiwan. Una decisione presa di grande fretta, in una riunione serale dal quale è rimasto escluso il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, subito dopo i primi due casi di contagio in Italia.

Dal punto di vista sanitario, il governo può rivendicare il successo della misura, visto che i casi non sono aumentati. L'unico cittadino italiano contagiato è uno dei 56 connazionali fatti rientrare da Wuhan lo scorso lunedì. Eppure, se si prova a considerare il lato diplomatico (spesso dimenticato a queste latitudini), restano diversi dubbi sulla gestione del caso.

Primo: impedire i voli diretti risolve davvero il problema? Certo, la misura riduce il flusso di arrivi. Però non li impedisce. Si può ancora viaggiare tra Italia e Cina utilizzando transiti in aeroporti di paesi terzi nei quali non esiste il blocco. E sull'origine della decisione può sorgere il dubbio che ci sia anche una considerazione di natura politica per evitare che l'opposizione, in primis la Lega, potesse speculare sul mancato intervento.

Secondo: sono stati calcolati i danni economici? Turismo, lusso, ristorazione. E non solo. Diversi settori subiranno le conseguenze del coronavirus. Le avrebbero subite a prescindere del blocco dei voli, ma la misura del governo rischia comunque di acuirle, proprio nell'anno del turismo e della cultura Italia-Cina. Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha lancoato un esplicito appello per riaprire i voli "il prima possibile". Anche a livello d'immagine, una volta passata l'emergenza sanitaria, i turisti asiatici potrebbero essere portati a essere più diffidenti sul viaggiare in Italia dopo che il nostro è stato il primo paese (per ora l'unico in Europa) a bloccare del tutto i collegamenti aerei diretti con la Cina (e l'unico nel mondo a farlo con Taiwan). 

Terzo: sono stati calcolate le conseguenze diplomatiche? L'Italia è passata dall'essere il primo paese del G7 ad aderire alla Belt and Road Initiative di Pechino a essere il primo paese del G7 a bloccare i collegamenti aerei diretti. Inevitabile che il governo cinese possa non essere felice, per usare un eufemismo. A Pechino siamo stati considerati un po' come l'amico che ritrae la mano proprio nel momento del bisogno. Sergio Mattarella, attraverso un messaggio a Xi Jinping e una visita a una scuola dell'Esquilino ad alta presenza cinese, ci ha (per ora) messo una pezza. Parziale, come dimostra il contropiede del ministero degli Esteri di Pechino che ha annunciato l'imminente riapertura dei voli costringendo il governo italiano a smentire (Speranza in maniera convinta, Di Maio un po' meno).

Quarto: si sono compresi i danni del dare segnali discordanti? Collegandosi al punto precedente, le conseguenze diplomatiche potenzialmente più negative sono quelle di dare segnali discordanti ai paesi con i quali si interloquisce. E alla Cina di segnali discordanti se ne sono dati davvero tanti negli ultimi mesi. Prima si firma la Belt and Road, poi si opera nell'ombra una retromarcia su alcuni dossier come l'aerospaziale e (in parte) le telecomunicazioni. Stesso copione sui voli: un ministero si rende disponibile alla riapertura (quasi) immediata dei voli, un altro ministero invece vorrebbe persino misure più severe. Non certo il modo migliore di porsi nel dialogo con Pechino o qualsiasi altro paese straniero.

Quinto, non un dubbio ma una certezza: dare un'immagine volubile, o meglio contendibile, comporta conseguenze negative sulla scena diplomatica. Soprattutto in un momento nel quale Stati Uniti e Cina si guardano sempre più in cagnesco, rendersi disponibili e proni dall'una o dall'altra parte a corrente alternata, ma senza avere una visione strategica a lungo termine, è la cosa peggiore che si possa fare. Si rischia, a turno, di scivolare in una sfera di influenza diversa da quella a cui si appartiene storicamente (fatto negativo soprattutto se fatto in maniera inconsapevole), oppure di andare contro i propri interessi per cedere alle pressioni dei vecchi "amici".

"Stare nel mezzo e guadagnarci da entrambi i fronti?" Forse una volta. Con una politica estera che sa sempre molto di politica interna si rischia solo di perderci.

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