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Esteri
Coronavirus: addio disruption e sovranisti.Tempo di rassicurazioni e stabilità
(fonte Lapresse)

Il mondo può cambiare all'improvviso. Ci sembrava una frase fatta fino a qualche settimana fa. Ora, invece, la pandemia Covid-19 ci ha fatto drammaticamente scoprire che può accadere davvero. E con il mondo cambia anche la politica. E sembra farlo altrettanto all'improvviso, a tutte le latitudini. Laddove vinceva chi strillava più forte ora si apprezza chi parla in maniera pacata, laddove si seguivano gli strali anti sistema ora si ascolta chi difende le istituzioni. C'era una volta la smania del cambiamento, ora c'è il desiderio di rassicurazione.

Conferme arrivano un po' da tutte le parti. Partiamo dall'Europa. In Germania l'ultimo sondaggio Infratest-dimap realizzato giovedì 19 marzo non lascia alcun dubbio: per la prima volta dopo tanti mesi la Cdu-Csu della Cancelliera Angela Merkel è tornata a quota 30%, una cifra che i cristiano-democratici (insieme ai cristiano-sociali bavaresi) non vedevano dall'autunno del 2019. Sul fronte opposto, la destra anti-immigrati e anti-Europa di Afd scivola al 10%, perdendo ben quattro punti in poche settimane.

La maggioranza dei tedeschi approva la gestione della crisi da coronavirus da parte di Angela Merkel. Stando ad un sondaggio dell'istituto Civey realizzato per il quotidiano Augsburger Allgemeine, il 54% degli interpellati approva l'operato della cancelliera. Sono favorevoli sia la maggioranza degli elettori della Cdu/Csu che di quelli dei Verdi. Solo i sostenitori dell'Afd sono nettamente contrari.

La cancelliera è data ormai da tempo sul viale del tramonto. Eppure, l'emergenza coronavirus l'ha rimessa ancora una volta in carreggiata, anche a causa delle titubanze e fallimenti dei suoi presunti eredi. Annegret Kramp-Karrenbauer, sua presunta "delfina", si è fatta da parte dopo mesi di gaffe e uscite a vuoto. Il 25 aprile la Cdu avrebbe dovuto decidere il suo nuovo leader, ma la nomina è stata rinviata a data da destinarsi. Merkel, dimenticati i tremori di qualche mese fa, serve più che mai con tutto il suo carisma a una Germania terrorizzata che non vuole perdere quello che è il suo vero punto di riferimento.

Berlino chiama, Parigi risponde. Nonostante tutte le polemiche sul ritardo dell'Eliseo e del governo francese nell'affrontare l'emergenza coronavirus, il 76% dei transalpini ha giudicato Emmanuel Macron convincente, nel suo discorso, in tv, alla nazione di lunedì 16 marzo. E, come accade in Germania, Rassemblement National di Marine Le Pen negli ultimi sondaggi nazionali è scivolata sotto il 20%, perdendo qualche punto. Il 57% dei francesi pensa che il suo governo stia affrontando la crisi in maniera corretta, nonostante il passaggio a vuoto del primo turno delle elezioni municipali svoltosi la scorsa domenica. Il discorso accorato di Macron ha colto nel segno, più di quanto non avesse fatto con quello seguito all'incendio di Notre Dame. 

Lo scenario di Germania e Francia conferma quanto succede in Italia. Il governo e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte registrano un livello di fiducia record oltre il 70%, segno che i cittadini hanno bisogno di rassicurazioni e si stringono attorno alle autorità. Il tutto mentre la Lega di Matteo Salvini continua a perdere consensi ed è ormai scesa tra il 27 e il 28%. L'approccio misurato del premier, durante le sue conferenze stampa e dirette Facebook, sembrano essere apprezzate dalla maggioranza degli italiani, in particolare per il suo tono rassicurante. Una bussola in mezzo alle tante voci contrastanti in arrivo tra regioni, sindaci e persino virologi (contrasti a cui, a dire la verità anche lo stesso Conte aveva contribuito all'inizio della crisi con la polemica con la Lombardia).

Non stiamo parlando di democrazie occidentali, ma l'emergenza coronavirus potrebbe rafforzare anche altri leader globali. A partire da Vladimir Putin, che ha approfittato della situazione per far approvare una riforma della Costituzione che gli consentirà di restare alla guida della Russia fino al 2036 (e non più fino al 2024) dopo l'approvazione (scontata) con un referendum popolare. Xi Jinping ha resistito all'urto iniziale, riuscendo a spostare la tensione interna sugli amministratori locali dello Hubei per i ritardi nella risposta alla diffusione del virus, che ora potebbe anzi diventare un assist alla Cina (uscita, per ora, dalla crisi) per prendere il timone della geopolitica globale (anche) attraverso la nuova Via della Seta sanitaria e a un maggiore spazio di manovra per il programma di autarchia tecnologica Made in China 2025.

A trarre vantaggio dal nuovo clima c'è anche Joe Biden. Non è (ancora) il presidente degli Stati Uniti, ma ora pensare che l'ex vice di Barack Obama possa diventarlo non appare più un'utopia. Tre settimane fa sembrava destinato al ritiro alla corsa delle primarie democratiche dopo i flop totali dei primi tre appuntamenti in Iowa, New Hampshire e Nevada. Bernie Sanders sembrava imprendibile, ma persino Pete Buttigieg aveva fatto meglio di lui. Poi è cambiato tutto. L'arrivo dell'epidemia negli Stati Uniti non è il solo motivo della sue schiaccianti vittorie in serie tra South Carolina, Super Tuesday, Big Tuesday, Florida, Illinois e Arizona. Ma è uno dei motivi.

Sanders è visto come la risposta democratica a Donald Trump: radical, populista e anti sistema. Tutto il contrario di Biden, alfiere tranquillo dell'establishment. In un momento nel quale è scattata la corsa all'acquisto di armi per paura di razzie e rapine, è chiaro che diventa improvvisamente più seducente la professionale compostezza di Biden, che non fa altro che promettere di "affidarsi agli scienziati e agli esperti" per fronteggiare la crisi sanitaria. Può sembrare un'ovvietà ma non lo è in un paese-continente dove la sanità si paga e in cui il presidente ha più volte sottovalutato la situazione. 

Improvvisamente, la "diplomazia" dei tweet, la polemica su Facebook, le promesse di rottura sono diventate meno affascinanti. Ora è il tempo della compostezza e (si spera) della professionalità. Ora che tutto è cambiato all'improvviso, c'è voglia di riavere indietro quel mondo (e quella politica) che fino a poche settimane fa si sognava di distruggere.

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