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Esteri
Coronavirus e nuova guerra fredda: nella testa di Washington e di Pechino
Donald Trump e Xi Jinping (foto Lapresse)

La pandemia da coronavirus sta accelerando la sfida totale tra Stati Uniti e Cina. Quella che una volta era definita semplicemente "guerra commerciale", e poi "guerra tecnologica", viene chiamata da più parti "nuova guerra fredda". Definizione che, in realtà, è ben nota da tempo agli osservatori della Cina e delle dinamiche geopolitiche tra superpotenze. Ma è innegabile che il Covid-19 ha portato su un nuovo livello le tensioni tra Washington e Pechino. Per fare il punto, Affaritaliani ha intervistato Francesco Costa, vicedirettore del Post e autore del libro "Questa è l'America", e Giada Messetti, sinologa e autrice del saggio "Nella testa del Dragone"

In che modo hanno affrontato e stanno affrontando pandemia e fase due Stati Uniti e Cina?

Francesco Costa: Mi pare chiaro che Donald Trump non la stia affrontando e sia ancora in una fase di rifiuto. A lungo il presidente ha sostenuto che non fosse un problema e che ne sarebbe sparita come un'influenza. La verità è la crisi è stata gestita soprattutto dai governatori, mentre il ruolo del governo federale è stato limitatissimo. L'amministrazione ha gestito più la fase economica che non quella sanitaria. E ora che il contagio dà i primi segni di miglioramento, per la verità quasi esclusivamente a New York che è stato l'epicentro principale, Trump vuole riaprire tutto. Un po' per evitare un bagno di sangue ancora maggiore dal punto di vista economico e un po' per esigenze elettorali.

Giada Messetti: All'inizio ci sono stati dei ritardi e degli errori, peraltro riconosciuti, ma poi la Cina è stata una dei paesi che ha affrontato meglio la pandemia, tanto che si è iniziato a parlare di "modello Wuhan". Ci sono caratteristiche precise per le quali questo modello ha funzionato: la componente tecnologica, quella della mobilitazione dei membri del partito (ma anche di volontari e popolazione in generale) e poi c'è una questione culturale. Il confucianesimo di cui è intrisa la società cinese fa sì che i cittadini si mettano al servizio della comunità, a maggior ragione nei momenti di crisi. La Cina, epicentro originario dell'epidemia, è anche quella che sembra esserne uscita per prima e la fase due è già cominciata da tempo. Ma la presenza di nuovi focolai fanno sì che ci sia ancora molta cautela.

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Giada Messetti è nata a Udine nel 1981. Sinologa, ha vissuto a lungo in Cina, dove ha scritto per Diario e ha collaborato con gli uffici di corrispondenza della Rai, del Corriere della Sera e de La Repubblica. Rientrata in Italia nel 2011, ha lavorato per diverse trasmissioni televisive e radiofoniche di Rai e La7. Attualmente è autrice del programma di approfondimento di Rai3 CartaBianca. Cura con Simone Pieranni il podcast sulla Cina Risciò. Ha appena pubblicato con Mondadori il saggio "Nella testa del Dragone".

cover Messetti Nella testa del   Dragone

Lo scontro tra Stati Uniti e Cina si sta facendo sempre più totale. Viste le elezioni presidenziali di novembre da una parte e le necessità di stabilità interna dall'altra, è inevitabile che i toni resteranno alti?

Costa: E' inevitabile che la campagna elettorale di Trump sarà costruita proprio sulla Cina. Questo perché se gli americani dovessero arrabbiarsi molto per la gestione della pandemia lui ha bisogno di dire che non è stata colpa sua, ma della Cina, colpendo il rivale sulla scarsa trasparenza e sui tentennamenti dell'Organizzazione mondiale della sanità. Anche nel 2016 Trump aveva attaccato i democratici accusandoli di essere troppo morbidi con la Cina, oggi fa e farà lo stesso con Biden. Parlare di virus nato in laboratorio è un modo per cambiare discorso e scaricare responsabilità.

Messetti: Anche in Cina non c'è l'interesse di abbassare i toni. Trump ha bisogno di Xi Jinping come Xi Jinping ha bisogno di Trump. Entrambi devono affrontare delle grosse difficoltà, che siano elezioni o una pesante frenata economica. Bisogna ricordare che è sull'economia che il Partito comunista cinese si gioca la stabiità politica, e dunque Xi il potere. Il presidente ha accentrato tutto su di sé, anche nella gestione della pandemia. E dunque se le cose andranno bene sarà merito suo, ma se le cose andranno male sarà colpa sua. La guerra di propaganda e le accuse da parte americana mettono benzina sul fuoco del nazionalismo cinese, e amplifica il desiderio di autodichiararsi come "i più bravi del mondo" nella gestione della pandemia.

Le accuse, per ora non suffragate da alcuna prova, di Trump e Pompeo non rischiano di distogliere l'attenzione dagli eventuali errori o disattenzioni commessi davvero dalla Cina nelle prime settimane dell'epidemia?

Costa: Sono d'accordo. La Cina non ha fatto tutto perfettamente e rifiutando l'indagine internazionale dà qualcosa di cui parlare. Il punto è che Trump, sparandola così grossa, rende difficile condurre una discussione argomentata. Non è da trascurare, però, il fatto che il presidente conosce la sensibilità americana e sa che le teorie del complotto tendono a spiegare in modo semplice cose difficili. La scarsa trasparenza cinese ha fatto sì che ci fosse terreno fertile per questa operazione di "confusione".

Messetti: Per questo la Cina dovrebbe accettare l'indagine internazionale, per non lasciare spazio a complottismi e ricostruzioni fantasiose. Respingendola fa pensare che ci sia "del marcio in Danimarca", o in questo caso a Wuhan. Non mi sorprende, peraltro, che ora gli Usa siano passati ad accusare ipotetici hacker cinesi sul vaccino. Credo che sia questa la corsa in base alla quale si decreteranno vincitori e sconfitti della pandemia.

Il coronavirus ha cambiato le relazioni tra Usa e Cina oppure si sarebbe comunque arrivati a uno scontro?

Costa: Trump era in mezzo a un grande conflitto economico e diplomatico con la Cina già da molto temo. La cosiddetta guerra commerciale ha dentro molte altre questioni geopolitiche, a partire dall'influenza cinese in Asia. La fase attuale è una prosecuzione di questa battaglia, con gli Stati Uniti impegnati a cercare di mantenere il proprio dominio sul mondo, non tanto attraverso il soft power ma con la difesa ruvida dei propri interessi. Linea che Trump identifica con quanto accade in America e basta, ma in realtà per tutto il '900 Washington ha difeso i propri interessi rendendosi diponibile per l'Europa e non solo, attraverso diplomazia e alleanze internazionali.

Messetti: Sì, lo scontro era già in atto da tempo e coinvolge non solo l'aspetto commerciale, ma anche quello strategico e tecnologico. Il controllo dei dati e il 5G sono una posta in palio fondamentale. I dati sono il petrolio del futuro e chi li controlla può uscire vincitore dalla contesa. Basti ricordare tutto quello che è successo e sta succedendo su Huawei. 

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Francesco Costa (1984) è nato a Catania, vive a Milano ed è giornalista e vicedirettore del giornale online il Post. Esperto di politica statunitense e più volte inviato sul campo, dal 2015 cura il progetto Da Costa a Costa, una newsletter e un podcast sugli Stati Uniti per i quali ha vinto nel 2016 il Premio internazionale Spotorno nuovo giornalismo e, nel 2018, il premio per il miglior podcast italiano alla Festa della Rete. Ha da poco pubblicato il libro "Questa è l'America" con Mondadori.

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Fino a qui la linea in politica estera di Trump ha creato più danni o vantaggi alla Cina?

Messetti: Finora Trump ha favorito la Cina lasciando tanti spazi vuoti che Pechino ha riempito. Certo, il rischio è che a un certo punto la corda possa anche spezzarsi e allora i discorsi potrebbero cambiare. Però indebolire le alleanze e le organizzazioni internazionali ha favorito l'azione cinese in questi anni.

Costa: Se bisogna dare un giudizio in questo momento, Trump ha portato più vantaggi che non svantaggi alla Cina. L'opera di demolizione diplomatica della Nato e della stessa Unione europea, con la Casa Bianca che ha apertamente tifato per la Brexit, ha costretto diversi paesi europei a guardare a oriente. Alcuni paesi dell'Europa dell'Est hanno guardato alla Russia, altri verso la Cina. E l'Italia è uno di questi. Non so se con un'altra amministrazione americana il governo gialloverde non avrebbe aderito alla Belt and Road, ma probabilmente avrebbe sentito una voce molto più netta (e attenta) in merito, al di là dei dazi sui prodotti italiani.

Tra cancellazione del debito, nuovi dazi e rottura diplomatica le minacce reciproche si susseguono. Che cosa dobbiamo aspettarci?

Costa: Trump voleva arrivare a ridosso delle elezioni proponendo al paese una vittoria nell'accordo commerciale, magari firmando ad agosto o settembre una "fase due" e poter dire che con il pugno di ferro si ottiene di più rispetto alla "morbidezza" dei democratici. Le cose però sono andate diversamente, ora è molto difficile potersi sedere al tavolo con la Cina. All'inizio dell'epidemia Trump elogiava Xi perché pensava fosse un problema tutto interno alla Cina, quando si è accorto che invece non era così ha dovuto cambiare retorica.

Messetti: La Cina tenterà sempre di più di essere indipendente dagli Usa. Come detto prima, i toni resteranno alti perché i cittadini cinesi appoggiano l'atteggiamento muscolare del governo verso Washington per nazionalismo e per orgoglio. Così come all'esterno sembra essersi ricompattato un fronte occidentale ostile alla Cina, all'interno si è ricompattato un fronte cinese ostile agli Stati Uniti. Soprattutto, la Cina sembra essersi adattata ai toni di Trump, come dimostrano i cosiddetti diplomatici "wolf warrior" che provano a imporre la propria narrativa all'esterno. C'è poi chi mette in guardia dalle conseguenze negative dell'ostilità internazionale (che secondo un report interno avrebbe raggiunto i livelli del post Tiananmen), come un documento di intellettuali che chiedere di tornare a toni più felpati.

Quel report sostiene anche che ci sia il rischio di un confronto militare. Davvero esiste questo pericolo? E, se sì, dove?

Messetti: A nessuno dei due conviene un conflitto. A livello militare gli Usa sono ancora molto più forti, anche se la Cina sta continuando ad armarsi. Storicamente la Cina non è espansionista, non ha mai fatto guerre per conquistare. I rischi, se ci sono, si concentrano su Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale, che Pechino considera questioni interne.

Costa: Faccio fatica a pensare che uno dei due abbia voglia di ingaggiare un conflitto. Semmai c'è il rischio di un incidente che può innescare una prova di forza. La Cina ha una politica molto aggressiva su Hong Kong e Taiwan, ma credo che al di là delle minacce politiche di deterrenza non ci sia un interesse a una escalation su quei territori. Ricordiamoci con quale facilità gli Usa si sono disimpegnati in Medio Oriente lasciando i curdi esposti ai turchi.

Con Biden al posto di Trump in che modo cambierebbe lo scenario?

Costa: La politica di contenimento della Cina resterebbe tale, anzi sarebbe anche più convinta di adesso. Una politica, d'altronde, cominciata con Barack Obama e poi proseguita da Trump con modalità e forme diverse. A dirla tutta, l'amministrazione Obama era più interessata nella difesa del modello Taiwan o a prendere parola su quello che accadeva a Hong Kong, tema sul quale non mi pare Trump sia stato particolarmente attivo. Biden esprime lo stile novecentesco secondo cui il modo migliore per contenere la Cina sia coinvolgerla, anche se non so se questa strategia in passato sia stata vincente. La Cina ha spesso approfittato di questa postura, per esempio in tema di valuta e proprietà intellettuale.

Messetti: Sarebbero diversi i toni, sarebbe diverso il linguaggio. Ma Obama, con il pivot to Asia, aveva cominciato a fare quello che Trump, pur ritirandosi dal Pacifico, ha poi esasperato. La sfida rimarrebbe la stessa anche con Biden, perché la Cina è l'unica potenza in grado di sfidare gli Usa. E lo sta facendo. Bisogna semmai capire se gli Usa avrebbero la forza di riprendere la linea di Obama e se la Cina è ancora contenibile come lo era anni fa.

Ma quali sono gli obiettivi finali dei due contendenti? 

Costa: Il contenimento della Cina. Questo è l'obiettivo, immutabile, sia con Trump che con Biden. Con il secondo avremmo una dialettica più pacata e più diplomatica, ma il fine ultimo rimarrebbe lo stesso.

Messetti: La Cina vuole offrire un ordine mondiale alternativo a quello americano, fondato sul concetto di tianxia. La Cina imperiale aveva questa visione in cui il potere partiva dalla Città Proibita e a cerchi concentrici si espandeva fino ad arrivare ai bordi dell'impero. E grazie ai tributi che riceveva riconosceva gli altri imperi o gli altri paesi. Il sogno cinese rilanciato da Xi ha l'obiettivo della rinascita della Cina, destinata a ritornare a essere Zhōngguó, paese del centro.

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