Esteri
Europa rapita, ecco come ritrovare l'"Unione" senza austerità

L’Europa deve sì difendere la sua stabilità ma senza relazionarsi ad essa con austerità: ecco perchè
Solo accogliendo le sfumature dei Criteri di Copenaghen per l’accesso a nuovi membri dell’Unione che l’Europa sarà in grado di accettare le diversità in tutte le sue forme... Il commento
L'Europa rapita. Ragionando in termini di Antichità, mai come in questo momento l'Europa è più vicina alla storia di Ade e Persefone. Il mito narra che Demetra, dea della terra e protettrice della natura, ebbe una bellissima figlia, Persefone, da suo fratello Zeus. Ade, il dio dei morti, si innamorò della fanciulla e la rapì, trascinandola con lui nel regno degli inferi. La giovane, attratta con l'inganno, dopo aver mangiato un chicco di melograno della terra degli inferi sarà costretta a passare per sempre un periodo nella terra degli inferi, mentre per i restanti due terzi nella terra degli immortali con la madre.
L’Europa che oggi conosciamo è un po' come la giovane Persefone che, a fasi alterne della sua esistenza, viene trascinata nella terra degli inferi, per essere sottratta alla sua fanciullezza. L’Unione Europea, con il suo progressivo allargamento, grazie alla sua solida impostazione data dai trattati, ha potuto trascorrere un’epoca serena, dove lo spirito comunitario ha portato alla costruzione di importanti politiche che le hanno permesso il rafforzamento dei legami esistenti. Ma mai come oggi, questa, ci appare disorientata. Perché puntualmente, ad ogni fase di ascesa, corrisponde un momento di caduta, e nel rispondere agli shock sistemici è trascinata in un mondo degli inferi, facendo venire meno la speranza nella sua forza, nella sua salda presa.
E allora si è assistito alla Brexit, alla perdita di uno dei quei preziosi legami che componevano la bellissima trama dell’Unione Europea, e si è assistito anche alla resistenza nella revisione delle politiche migratorie per la ripartizione “di quote di responsabilità”. Come se i confini dell’Unione Europa appartenessero solo ad alcuni, come se l’Europa venisse colpita da amnesie ricorrenti, dove nel punto di caduta, di ritorno agli inferi, gli Stati membri non fossero più convinti di voler condividere il valore dello stare insieme. Eppure, con la risposta all’emergenza da covid-19, alla barbera invasione della Russia nei confronti dell’Ucraina, ma ancora di più ora, a seguito del deplorevole attacco di Hamas a Israele, è stato possibile saggiare la forza della sua unità, ma soprattutto della sua compattezza nel rispondere in maniera unanime.
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La domanda, però, sporge spontanea: che cosa vuole fare l’Unione Europea da grande? È evidente che, ad oggi, questa manchi di un’identità politica forte. Non che manchi di sostanza, ma della forma con cui esprime sé stessa. Guardando al conflitto in Ucraina, e a quello in Medioriente, vi è una costante: l’Europa manca del suo fondamento come soggetto attivo. È vero sì che l’Europa esiste nella misura degli aiuti, dei rifornimenti, della cooperazione, ma è vero anche che essa è assente come corpo vivo, soprattutto in termini di difesa.
E stando alla definizione di Weber per cui lo Stato è l’unico detentore della forza e del potere di fare la guerra, nonché della sua capacità di difesa, è innegabile che l’Europa, ad oggi, nella sua “statualità” manca della sua esistenza. Forse è arrivato il momento di dare nuova forma ed immagine ad un’Unione Europea che deve domandarsi in che modo vuole esistere, non solo come corpo solo e anima sola, ma anche come un unicum di difesa, senza di certo allontanarsi dalla Nato, ma continuando a cooperare con essa. Ma se il problema risiedesse nell’unanimità? Che è sì un principio ma anche la modalità di voto all’interno delle nostre istituzioni europee, di un sistema che sì vuole essere una garanzia, ma che, in alcuni settori, può diventare un’arma a doppio taglio. Sorge pertanto spontaneo chiedersi quanto tale unanimità sia garanzia di unità. “United we are stronger” è quanto affermato dai 27stati membri nel 2019 nella 'dichiarazione di Sibiu' sul futuro dell'Europa.
E oggi più che mai è il motto dell’Unione. Ma anche se non unanime, l’Unione è comunque forte? Una provocazione che non vuole far venire meno i meccanismi di controllo in seno all’Unione Europea, ma come per ogni grande rivoluzione, c’è bisogno di dare una scossa all’impostazione barocca dell’Unione che rischia invece di cadere, sotto il suo stesso peso, come un castello di carta. Perché laddove l’interesse alla condivisione del rischio è meno forte, la bilancia si sposta su interessi particolari che bloccano il raggiungimento di ogni obiettivo rivoluzionario per l’Unione.
Un processo dunque, anche se non certo nell’ esito, che risulterebbe sicuramente più attrattivo di un meccanismo ormai incapace di portare i risultati sperati. Discorso non differente per quanto riguarda i processi di integrazione dell’Unione, alla possibilità di allargamento ai Balcani, il cui ingresso, mai come in questo momento storico, è fondamentale per la stabilità del nostro continente, ma soprattutto per controbilanciare l’instabilità nel mediterraneo.
Perché forse, quello che è accaduto con l’Ucraina, non sarebbe successo se l’Unione avesse integrato prima i paesi dell’ex enclave Russa. Una domanda a cui non c’è dato di avere risposta, ma solo di valutarne i benefici per gli scenari futuri. L’Europa ha dimostrato di essere regina in tante occasioni, di essere in grado di rispondere in maniera repentina alle crisi, meglio anche di tanti altri continenti, come l’America, l’Asia o l’Oceania. L’abbiamo visto con il covid-19, e con la risposta alla crisi sistemica del 2008 dei mutui sub-prime. L’Europa, però, non deve perdere dimenticare da dove è partita: un’unione di popoli a cui ha fatto seguito un’unione economica. Ma l’austerità dei conti non deve prescindere la stabilità e il benessere delle sue popolazioni, anche se condizione necessaria al suo sviluppo e crescita.
L’Europa deve sì difendere la sua stabilità ma senza relazionarsi ad essa con austerità. Quello che l’Europa deve trovare è una soluzione terza capace sia di contemperare il rischio ma anche di attutirne l’impatto. E non importa se il processo chiederà tempo, l’importante è che la gradualità accompagni tali scelte, pensando in primis alle fasce più deboli della società e poi a quelle più ricche. L’Europa deve ricordarsi di valutare le sue politiche partendo prima dagli effetti a cui potrebbe andare incontro per la totalità della sua popolazione, e poi a quelli a cui mira dalla sommità della sua istituzione.
Deve cambiare la prospettiva da cui guarda il suo assetto. Perché solo accogliendo le sfumature dei Criteri di Copenaghen per l’accesso a nuovi membri dell’Unione che l’Europa sarà in grado di accettare le diversità in tutte le sue forme e goderne il beneficio del loro ingresso e integrazione, restituendo finalmente l’Europa alla sua terra, senza costringerla più a tornare negli inferi.
Commento a cura di Giulia Mirra, Capo Segreteria presso la Presidenza INCE (Iniziativa Centro-europea)