Esteri
“Il piano tedesco contro Mosca? Preparatevi a una nuova Guerra Fredda”. L'analista svela i rischi di escalation globale
Elia Morelli, ricercatore di storia presso l’Università di Pisa e analista geopolitico, non ha dubbi sulla situazione geopolitica attuale

Guerra Europa Russia
“Il piano segreto tedesco? È una Guerra Fredda 2.0 e l’Europa è impreparata”
Un campanello d’allarme per l’Europa o un solo atto di pianificazione militare? La rivelazione del Wall Street Journal sull’esistenza di un “piano segreto” tedesco per prepararsi a un possibile conflitto con la Russia ha riacceso le già altissime tensioni. A complicare ulteriormente lo scenario internazionale, anche l’attentato avvenuto nei pressi della Casa Bianca, che ha riaperto il dibattito sulla sicurezza interna negli Stati Uniti e sul clima politico sempre più polarizzato.
A fare chiarezza è Elia Morelli, ricercatore di storia presso l’Università di Pisa, analista geopolitico e saggista, che ad Affaritaliani ha spiegato il reale significato del documento tedesco, i rischi di una spirale di escalation tra NATO e Russia, la fragilità del fronte interno americano e le prospettive - tutt’altro che scontate - di una possibile trattativa tra Kiev e Mosca.
Quanto è significativa l’esistenza di un “piano segreto” tedesco in termini di evoluzione della guerra in Ucraina‑Russia? Cosa significa per Berlino avere questo tipo di documento? E quali rischi concreti comporterebbe per l’Europa e la sua stabilità?
“Si tratta di una decina di alti ufficiali delle forze armate tedesche che da circa due anni lavorano a un piano riservato per un eventuale conflitto con la Russia, prendendo in considerazione non soltanto l’equilibrio delle forze in campo, ma anche le sfide logistiche legate al trasferimento di uomini e mezzi attraverso l’Europa.
Il piano prevede infatti di spostare, in caso di guerra, fino a 800.000 militari tedeschi, statunitensi e di altri Paesi NATO verso il fronte orientale. Riflette un approccio totale al conflitto, che integra civili, settore privato e istituzioni nei preparativi bellici insieme alle forze armate.
Questo piano è perfettamente in linea con le dichiarazioni espresse nelle ultime settimane da diversi vertici europei. Il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, nel 2024 sosteneva che la Germania sarebbe entrata in guerra con la Russia entro il 2029; successivamente ha detto 2028 e, di recente, ha affermato che secondo alcuni analisti militari “abbiamo già vissuto la nostra ultima estate di pace”. Anche il capo di Stato maggiore polacco ha parlato apertamente di “periodo prebellico”, sostenendo che bisogna essere pronti a risposte decise perché Mosca mira a creare condizioni favorevoli a una potenziale aggressione sul territorio polacco, soprattutto dopo i sabotaggi alle infrastrutture polacche.
Tornando alla Germania, nonostante gli investimenti nel settore bellico – che potrebbero portare la Repubblica Federale a essere il terzo Paese al mondo per spese militari – la popolazione tedesca non è pronta a combattere: dieci anni di disarmo e pacifismo hanno prodotto una collettività mediamente anziana, poco incline al sacrificio e più interessata a conservare welfare, pace e benessere”.
Alla luce delle tensioni attuali tra NATO e Russia, questo tipo di piano rischia di alimentare una spirale di escalation e allarme, o al contrario rappresenta un deterrente credibile contro Mosca?
“È senz’altro il ritorno a una mentalità da Guerra Fredda. La Germania, e l’Europa in generale, stanno vivendo un doloroso risveglio dal sonnambulismo strategico che le ha accompagnate per decenni.
Gli Stati Uniti, tramite sanzioni, richieste di riarmo e pressioni diplomatiche, stanno appaltando ai Paesi europei il contenimento della Russia: in sostanza dicono “armatevi e siate pronti a difendervi da soli, perché qualora ci chiamiate potrebbe rispondere la segreteria telefonica”. Washington vuole concentrarsi sulla sfida con Pechino e il suo obiettivo principale è staccare Mosca dall’abbraccio cinese.
Gli investimenti europei nel settore bellico aumentano sì le capacità convenzionali, ma non rappresentano – secondo me – un deterrente credibile contro Mosca. L’unica vera mossa significativa è quella dello scorso luglio, quando Francia e Regno Unito hanno firmato la Dichiarazione di Northwood per rafforzare la cooperazione nucleare, coordinando i rispettivi arsenali per offrire una deterrenza più forte all’Europa.
L’accordo prevede l’istituzione di un gruppo congiunto per gestire gli aspetti politici e militari dell’arsenale atomico franco-britannico, garantendo agli europei la disponibilità dell’ombrello nucleare. Questo può essere un deterrente. Ma il deterrente principale resta la costruzione di una nuova architettura di sicurezza continentale nel dialogo con Mosca”.
Negli Stati Uniti c’è davvero un’emergenza sicurezza? Come è stato possibile che un sospetto si avvicinasse così tanto alla Casa Bianca? Siamo di fronte a un caso isolato o a un segnale preoccupante di terrorismo e instabilità interna?
“Penso si tratti di un caso isolato. Tuttavia è stato sfruttato strumentalmente dall’attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che si è lanciato in una veemente invettiva contro l’immigrazione, definita ‘la più grande minaccia alla sicurezza nazionale’, accusando il suo predecessore, Joe Biden, di aver permesso l’ingresso di milioni di stranieri.
La criminalità è un problema diffuso negli Stati Uniti. Trump e altri vertici dell’amministrazione si sono più volte scagliati contro immigrati, clandestini e radicali di sinistra, individuando nel “nemico interno” la principale minaccia alla sicurezza nazionale. Questo rivela la crisi identitaria e la furibonda battaglia ideologica, politica e culturale che attraversa il Paese.
Il Secondo Emendamento non fa che esacerbare il problema: è difficile garantire alti livelli di sicurezza in un Paese in cui circolano più armi (circa 450 milioni) che persone (330 milioni)”.
Dopo lo scandalo di Witkoff appare sempre più evidente la spaccatura interna tra filo-ucraini e filo-russi: Trump sta affrontando una vera crisi politica interna?
“Negli Stati Uniti è in corso una guerra tra il fronte MAGA trumpista e gli apparati. L’obiettivo di Donald Trump è ridisegnare la verticale del potere inserendo i propri fedelissimi all’interno delle istituzioni. Le rivelazioni sull’Ucraina mirano a dimostrare che la cerchia del presidente sarebbe collusa con i russi: questa è la narrativa promossa in particolare dalla CIA, che considera Trump e il movimento MAGA una minaccia alla sicurezza nazionale.
La comunità di intelligence ritiene che Trump rappresenti un pericolo per la tenuta della Repubblica e vuole usare i suoi rapporti con la Russia per dimostrarlo. Lo scontro è evidente: Trump vuole occupare gli apparati, gli apparati cercano di resistere.
È emblematico l’episodio di fine settembre, quando nella base dei Marines a Quantico Trump e il segretario della Guerra, Pete Hegseth, hanno convocato 800 tra generali e alti ufficiali, accusandoli di aver trasformato il Dipartimento della Difesa nel “Dipartimento woke”. Hanno invocato il ritorno all’antico ethos guerriero in vista di conflitti non solo contro Cina e Russia, ma anche contro quello che definiscono un nemico interno.
Lo scandalo Witkoff si inserisce proprio in questa guerra tra Trump e gli apparati, che mette in discussione i principi politici, economici, sociali e culturali che hanno retto finora l’architettura federale e, più in generale, l’impero americano”.
Alla luce della dichiarazione di Putin, secondo cui Mosca cesserà le ostilità solo se le truppe ucraine si ritireranno nel Donbass, pensa che ci siano realistiche possibilità di una negoziazione, oppure è più probabile che il conflitto prosegua fino al raggiungimento degli obiettivi militari russi?
“Ci sono concrete possibilità che le negoziazioni abbiano un esito positivo, soprattutto perché il fronte occidentale è stanco. L’Ucraina è a corto di risorse; gli europei hanno sostenuto Kiev, ma senza il supporto statunitense è difficile che possa resistere. Dall’altra parte, la Russia è decisa a proseguire la campagna bellica perché si trova in una posizione di forza, grazie alla superiorità demografica, economica e soprattutto militare.
La negoziazione procederà a partire da una linea rossa invalicabile: la neutralizzazione dell’Ucraina e la sua non-adesione alla NATO. Gli europei dovrebbero sostenere economicamente la ricostruzione insieme agli americani e, in parte, anche ai russi. Sul piano territoriale, penso si arriverà a un congelamento della linea del fronte, con il Donbass annesso quasi completamente dalla Russia.
Per raggiungere la pace è fondamentale ristabilire un dialogo con Mosca per ridisegnare una nuova architettura di sicurezza regionale e continentale. Questo dovrebbe essere una priorità sia per gli europei sia per gli americani, che vogliono concentrarsi sulla sfida con la Cina cercando però di staccare Mosca dall’abbraccio con Pechino”.
