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Ultimo aggiornamento: 10:00

Il trumpismo è già in crisi

La popolarità del tycoon sta crollando in tempi record...

di Matteo Castagna

Il trumpismo è già in crisi

La redazione di Aspen online del 6 novembre ha scritto che "di fatto, quella di Trump è un’amministrazione fortemente centralista nell’uso delle risorse pubbliche, che tende a influenzare direttamente i mercati e a scegliere vincenti e perdenti in modo “autoritativo”, forgiando alleanze esplicite con gli imprenditori più graditi alla Casa Bianca.

Sull’altro versante, che viene spesso descritto come la sinistra estrema del mondo progressista, troviamo il nuovo sindaco della più popolosa città americana a proporre una ricetta di spesa pubblica - sebbene su scala locale - che riecheggia le tattiche preferite del Presidente in carica: c’è una vera emergenza (in questo caso la “affordability”) che richiede interventi eccezionali da parte di un leader fuori dagli schemi tradizionali".

Per questo motivo, la mossa dei Dem è stata vincente. Va aggiunto che un reale outsider non si farebbe finanziare la campagna elettorale con 40 milioni di dollari da Alex Soros, figlio del più grande speculatore globalista e globale George. L'abilità di questo giovane musulmano e della moglie è stata quella di intercettare il voto giovanile, che da tre anni protesta sonoramente contro la guerra israelo-palestinese, schierandosi apertamente per l'autodeterminazione della Palestina, con duri attacchi al governo Netanyahu. Secondo i dati forniti dalla CNN, ben il 33% dei giovani ebrei, laici e progressisti ha votato per il ProPal Zhoran Mamdani.

Sempre l'Aspen dell' On. Giulio Tremonti osserva acutamente che in un futuro non proprio lontano "potrebbe magari emergere che molti cittadini sono a favore di un intervento pubblico (federale e ad altri livelli) più efficace, superando una certa ipocrisia culturale per cui solo il “libero mercato” funziona; ma che sono anche a favore di un governo più prudente rispetto al debito pubblico e meno ossessionato dai listini di Wall Street. Intanto, pare già certo che l’elettorato non è contento del più lungo “shutdown” nella storia del Paese".

Il Time scrive che mercoledì, il sindaco eletto di New York City ha annunciato la creazione di un team composto esclusivamente da donne per guidare il suo impegno ufficiale nel periodo di transizione fino all'insediamento, previsto il 1 gennaio 2026. Anche questa viene letta come una "novità" che strizza l'occhio alla galassia femminista dell'elettorato Dem, ma trova approvazione e gradimento generale, in quanto si tratta di una grande apertura e di un dato storico.

Il trentaquattrenne, che non è ben visto dalla larga fetta del suo partito e del mondo imprenditoriale/finanziario che ha votato per Andrew Cuomo, ha nominato una serie di consulenti che hanno lavorato nelle amministrazioni degli ex sindaci Eric Adams, Bill de Blasio e Michael Bloomberg, dando così un segnale potente di un'ulteriore apertura, utile ai fini politici, verso l'establishment Democratico newyorkese. Tra questi figurano ex funzionari comunali e federali, dirigenti di organizzazioni non-profit e veterani del Municipio.

"Io e il mio team costruiremo un municipio in grado di mantenere le promesse di questa campagna", ha dichiarato il sindaco eletto in una conferenza stampa alla Unisphere nel Queens, promettendo che la sua amministrazione "lavorerà ogni giorno per onorare la fiducia che ora ripongo". Non sarà facile tenere i conti in ordine, come già osservano molti analisti, anche italiani, di un bilancio pari a 110 mil. di dollari coi bus gratis per gli studenti, la sanità a carico del Comune per i più poveri, paventati bonus per immigrati e i tagli alla polizia.

La nuova amministrazione dovrà, inoltre, smettere di provocare The Donald per poter affrontare le sfide economiche e politiche più complesse, in un clima di forte tensione con Washington. Il presidente Trump ha, infatti, più volte minacciato di sospendere i fondi federali destinati alla città, in caso di vittoria di Mamdani, che ha definito pubblicamente un “comunista”.

La popolarità di Trump, però, sta crollando in tempi record. Secondo il monitoraggio del The Economist/YouGov pubblicato il 3 novembre, l’indice di gradimento netto (la percentuale di coloro che approvano il lavoro attuato meno la percentuale di chi non lo fa) del presidente è sceso a -18.

Le cause sono molteplici, ma il fattore principale è economico. La rivista Aliseo osserva su Instagram che "nonostante la disoccupazione resti sotto il 5%, quest’ultima ha toccato il suo livello più alto dall’ottobre 2021, mentre la crescita rallentata e l’aumento del costo dei mutui hanno eroso la percezione di benessere della classe media. Il 61% degli intervistati per il sondaggio Cnn/Ssrs ritiene che le politiche di Trump abbiano aggravato la situazione economica".  

La promessa “Make America Great Again” si è tradotta, per molti, in stagnazione salariale e precarietà politica. Forse la grande attenzione alle questioni internazionali e ai cambiamenti degli equilibri economici e militari in corso, in cui la concorrenza della Cina e dei BRICS+ in generale preoccupa e impegna il Presidente Trump al punto di dover trascurare proprio la politica sovranista di cui ha fatto il suo cavallo di battaglia.

Molti americani percepiscono le fratture sui temi dell'immigrazione, dell'identità, delle tasse, che il Tycoon continua a mantenere vive, ma, almeno per il momento, non vengono risolte. Per cui, se da un lato possiamo dire che la vittoria di Mamdani ha fatto prendere fiato ai Dem in crisi nera dall'elezione di Trump, dall'altro osserviamo che a New York il suo metodo comunicativo declinato in salsa progressista produce frutti e ne indebolisce l'immagine, già ai minimi dopo 10 mesi di governo.

Quindi, anche per i Repubblicani che hanno due anime interne, quella neocon, storicamente di matrice colonialista, che rimprovera al Presidente di essere troppo divisivo e l'ala MAGA insofferente con il loro leader perché accusato di cedere troppo alle pressioni dell'altra corrente, non sarà facile imporre una quadra di chiusura così netta verso la città più grande del mondo, come annunciato energicamente da Trump.