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Esteri
Italia-Asean, Bordonaro: "Sud-est cruciale con la governance multipolare"

"Per farci un’idea di quanto saranno complesse le relazioni internazionali del futuro dobbiamo archiviare il concetto di bipolarismo e pensare a un modello di governance globale multipolare e multilivello". E' uno dei passaggi chiave dell'intervista a Valerio Bordonaro, direttore dell'Associazione Italia-ASEANUn modello multipolare e multilivello in cui le sempre più numerose potenze medie asiatiche avranno un ruolo di primo piano. 

Valerio Bordonaro, il blocco Asean comprende alcune delle economie più dinamiche e con maggiori prospettive di crescita al mondo, in primis Indonesia e Vietnam. Quali sono le opportunità in tal senso per l'Italia e su quali settori si dovrebbe insistere per aumentare i dati legati all'export?

In generale, per qualsiasi economia al mondo, esistono maggiori possibilità di sviluppo all’esterno dei propri confini piuttosto che all’interno. Non è necessario essere fini economisti per capire che in Italia ci sono 60 milioni di potenziali consumatori e al suo esterno quasi 7 miliardi. Gli altri due elementi da tenere in considerazione sono il grado di apertura dei mercati e la ricchezza. L’area ASEAN, con in testa proprio Vietnam e Indonesia, rappresenta un optimum da ogni punto di vista. E’ un mercato, quasi, unico da 650 milioni di consumatori, molto più aperto di quelli cinese e indiano, collegato da una fitta rete di accordi libero scambio e in cui il tenore di vita cresce velocemente, creando una classe media assetata di status symbol. L’Italia non deve stravolgere le proprie produzioni, deve semplicemente comportarsi da Paese coeso e lungimirante. Bisogna fare in modo che i vari interessi dei privati e le diverse istituzioni preposte all’internazionalizzazione si muovano all’unisono, in un’ottica di Sistema. Viviamo un mondo dalle molteplici connessioni e con diversi livelli di azione: se la politica ha spesso aperto le porte dei mercati esteri per le aziende dell’energia, dell’aeronautica e della finanza, non è detto che la sport o la food diplomacy non possano spianare la strada alla meccanica o all’industria dell’intrattenimento. La lungimiranza sta invece nell’aumentare gli investimenti ed evitare delocalizzazioni in stile anni ’90.

Nel 2015 nasce l’Associazione Italia-Asean, un fatto importante che si inserisce in un contesto cruciale per l’Italia, l’Europa e i paesi parte dell’Asean. L’Associazione Italia-ASEAN si pone con la precisa missione di rafforzare il legame e rendere più evidenti le reciproche opportunità, sia per le imprese che per le istituzioni. E' presieduta da Enrico Letta.

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Oltre al lato commerciale, quali sono le opportunità a livello diplomatico e geopolitico offerte da una maggiore cooperazione in area Asean?

Bisogna tenere sempre in mente che l’estremo oriente e in particolare il sudest asiatico non sono mai state zone di tradizionale interesse per la politica estera italiana. Diversamente da noi, invece, Gran Bretagna, Francia e Olanda sono sempre state molto attente alla regione. Allo stesso modo Cina, Giappone, India e Stati Uniti hanno sempre avuto politiche specifiche per quell’area del mondo. L’Italia ha tutto da guadagnare da un rafforzamento delle relazioni con il sudest asiatico; anche soltanto per il fatto che queste fino a poco tempo fa erano quasi inesistenti. L’ASEAN, come l’UE, è un attore della politica internazionale che da grande valore al multilateralismo, al libero mercato e che può fungere da arbitro, o da sensale, per le dispute territoriali nell’indo-pacifico; l’ASEAN può rappresentare anche una chiave di volta nella lotta ai cambiamenti climatici e per la salvaguardia del Pianeta Terra; infine, i Paesi dell’ASEAN rappresentano spesso un esempio virtuoso di coesistenza pacifica fra gruppi etnici e religiosi. Il Partenariato di Sviluppo che è stato accordato di recente all’Italia ci dà una chance importante di cooperazione pratica che può essere il pretesto per rafforzare i legami commerciali tanto quanto quelli politici e tra le società civili.

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Valerio Bordonaro

Lo scontro tra Usa e Cina e altre tensioni geopolitiche, per esempio tra la stessa Cina e l'India, sono deflagrate negli scorsi mesi e sono arrivate a coinvolgere anche il Mar Cinese Meridionale. Come crede che possa uscire da questa contingenza "tellurica" il panorama dell'Indo Pacifico?

Dal XV secolo a.c. l’Asia era già un’area di consistenti relazioni culturali, economiche e diplomatiche che spaziava dall’Anatolia alla Cina. Il colonialismo occidentale e le dinamiche della Guerra Fredda hanno parzialmente tentato di trasformare l’organico mosaico asiatico in una successione di territori adiacenti e in sfere di influenza subregionale. Nel tempo, quindi, Turchi e Arabi hanno cominciato a sentirsi Medio Oriente o Cina e Giappone hanno iniziato a intestarsi la leadership dell’Estremo Oriente, rischiando di frammentare l’ “Universo Asia”. La storia dell’Asia è ricca di interazioni tra civiltà. Diversamente dall’Occidente, gli asiatici hanno a lungo tollerato i rispettivi sistemi di credenze e culture dimostrando un alto grado di coesistenza interetnica. Una logica simile si può applicare a livello geografico, l’Asia non teme i processi egemonici al suo interno, perché è intrinsecamente multipolare. Una combinazione delle vaste distanze geografiche e dell’attitudine al sincretismo potrebbe spiegare perché alcune delle grandi frizioni regionali si siano sopite, seppur con periodiche fiammate, o concluse con degli stalli: Cina e Giappone, Cina e Vietnam, India e Pakistan, Iran e Iraq. Le frizioni diplomatiche o commerciali vanno, quindi, lette come prove di quanto ogni membro del sistema Asia sia importante rispetto agli altri, non come gli scricchiolii di un sistema che sta per andare in frantumi.

Si dice spesso che l'Ue sia solo un'unione finanziaria e non politica, men che meno geopolitica (anche se la neo presidente della Commissione europea ha esordito proprio utilizzando questa parola). Qual è la situazione all'interno dell'Asean? Quanta unità d'intenti anche a livello strategico (per esempio su temi come il Mar Cinese Meridionale) esiste tra i vari paesi membri?

L’UE, volente o nolente, è destinata a diventare un attore geopolitico oppure a perdere qualsiasi possibilità di influenzare le sorti del mondo. Se l’UE non si imbarcherà con convinzione nella definizione di una decisa strategia di politica internazionale, grandi Paesi come l’Italia o la Francia, a breve, si troveranno a contare quanto il Regno di Sardegna durante il Congresso di Vienna: zero. Per quanto riguarda l’ASEAN, se il paragone con l’UE calza in relazione all’integrazione economica, bisogna dire tutto il contrario a proposito del versante politico. Mai dire mai in un’era come la nostra, ma mi sento di dire che non si vede all’orizzonte un coordinamento strategico tra i 10 paesi membri. Si vedono delle convergenze, come quella di evitare che il Mar Cinese Meridionale diventi un lago cinese oppure quella di evitare di inimicarsi gli Stati Uniti, per mantenere un certo livello di protezione militare. In definitiva, però, se il Segretario Generale dell’ASEAN facesse dichiarazioni coraggiose come quelle della VDL è probabile che i Paesi membri ne chiederebbero le dimissioni. Al momento non c’è tensione federativa ma soltanto la necessità di una piattaforma di dialogo, che però è stata e continua ad essere efficiente e funzionale per gli scopi che hanno in mente i paesi membri.

Si dice spesso che questo sia, o possa essere, il secolo asiatico. E' d'accordo? E quali saranno i rapporti di forza nella regione?

Sono pienamente d’accordo nella misura in cui l’Asia produrrà numerose medie potenze che, con alleanze a geometrie variabili, saranno fondamentali per creare blocchi e masse critiche su diverse questioni. Sarà un secolo asiatico perché l’Asia sarà finalmente rappresentata in maniera proporzionale al proprio peso demografico e geografico, diversamente da quanto successo in passato; non perché l’Asia dominerà il mondo. Per farci un’idea di quanto saranno complesse le relazioni internazionali del futuro dobbiamo archiviare il concetto di bipolarismo e pensare a un modello di governance globale multipolare e multilivello. Già oggi, a seconda del tema della discussione, non si può non tenere in considerazione il punto di vista del Giappone o della Corea del Sud, così come quello dell’Iran o della Turchia, dell’Indonesia o dell’India; allo stesso modo ci sono città globali come Dubai, Hong Kong e Singapore i cui interessi non sono meno rilevanti di quelli del Canada o dell’Australia. La Cina sarà il primus e avrà come pares Stati Uniti e UE, ma saranno le alleanze a geometria variabile a decidere chi vincerà il tiro alla fune sulle diverse questioni globali.

Quale ruolo può giocare la cooperazione tra associazioni come Ue e Asean per risolvere questioni globali come il cambiamento climatico o il sostegno allo sviluppo dell'Africa?

In generale UE e ASEAN, insieme a partner affini come Canada, Giappone, Corea, Cile, Messico, Australia, Nuova Zelanda e Norvegia devono lavorare alla creazione di golden standard globali. Lo abbiamo già visto in vari ambiti. Se si vogliono fare affari con l’UE bisogna rispettare determinate norme e standard. GDPR è un caso eccellente di golden standard che ha influenzato tutto il mondo. Con questo pragmatismo si può spingere buona parte degli attori del pianata verso comportamenti virtuosi. La questione Africa è più complessa. Bisogna evitare di considerare quel continente come un uovo di cui spartirsi dei bocconi. Sia l’UE che l’ASEAN sono ottimi esempi di quanto il coordinamento e, nel caso europeo, la tensione federativa possano dare frutti già nel breve periodo, ma il prerequisito è la volontà politica dei protagonisti. Kenya, Uganda e Rwanda con la loro comunità dell’Africa Orientale sembrano sulla direzione giusta ma per il resto dell’Unione Africana le previsioni non sono rosee. Sostenibilità e digitalizzazione sono due delle chiavi pratiche con cui lavorare sul tema Africa, non perdendo terreno rispetto all’attivismo economico-commerciale cinese e non interferendo sulla politica locale. Non sarà una sfida facile ma è vitale per l’Unione Europea e non ci stiamo pensando ancora abbastanza.

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