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Esteri
L’Unione europea non funziona? Ecco la soluzione: sciogliamola


Molti anni fa sono rimasto un po’ stupido quando mi sono accorto di essere un tendenziale sfasciafamiglie. Non nel senso che tutte le mogli degli amici si innamorassero di me ma nel senso che, quando qualcuno mi raccontava i suoi problemi coniugali, la mia reazione pressoché costante era: “Perché non vi separate?”

In realtà ero semplicemente logico: se due persone stanno male insieme, non staranno ambedue meglio, se si separeranno? Del resto, se ognuno dà all’altro la colpa della propria infelicità, non è opportuno far cadere questo alibi?

Probabilmente queste idee sono valide anche per l’Europa. Questa Unione è nata come un matrimonio d’amore. E infatti a lungo è stato quasi blasfemia ipotizzarne la fine. Oggi, invece, l’“Europa” è sempre meno popolare, ed è sempre più spesso considerata colpevole dei guai dei singoli Paesi. La si vede come una serie di vincoli che ostacolano la libertà, piuttosto che come una guida, una protezione, una famiglia.

Magari a torto. È perfettamente possibile che l’Unione sia una grande realizzazione. Basterebbe citare il fatto che da molti decenni una guerra fra i suoi membri è reputata inconcepibile, e che il Continente costituisca un’immensa area di libero scambio. E tuttavia, che importa? I meriti delle persone, da soli, non sono sufficienti né a farle sposare, né – dopo – a farle rimanere insieme. I matrimoni d’interesse possono durare per tutta la vita soltanto se i coniugi hanno un grande buon senso. Ma l’Unione Europea è cominciata come un matrimonio d’amore, e in questi casi contano molto i sentimenti. Quando cominciano le rimostranze, le accuse e gli alterchi, la magia è svanita, i due si vedono come realmente sono, semplicemente umani, ed è la fine. Se si è a questo punto, meglio separarsi consensualmente, per così dire in tempo di pace, piuttosto che con un divorzio guerreggiato.

Nel caso dell’Europa il problema è stato complicato dal sentimento di una doppia parentela. Nei confronti degli altri Stati, ognuno si è trovato nella situazione dei coniugi, ma nei confronti dell’Unione Europea in sé la relazione è stata simile a quella che i figli adolescenti hanno con i genitori. In teoria sanno che essi esercitano il loro potere per il loro bene, ma di fatto finiscono col dargli la colpa di tutto. Perché su tutto essi hanno potere. E dunque – a parere dei figli – di tutto sono responsabili.

Si ha una riprova di questo sentimento nel fatto che uno dei primi rimproveri mossi all’Unione è proprio la sua legislazione, minuziosa e spesso sentita come opprimente. E non si tratta qui di decidere quanto siano fondate le accuse e le lamentele. Il fastidio della costrizione prevale sull’utilità della norma, che alla fine neanche si esamina.

Bisogna ripeterlo: nessuno può essere sicuro che la fine dell’Unione sarebbe una buona cosa. Anzi, è meglio non azzardarsi a descrivere le conseguenze di un eventuale smantellamento della comunità. Ma si parla di impressioni, forse perfino di sensazioni stupide dovute alla disinformazione, perché in democrazia non raramente è sulla base di queste cose impalpabili che si decide.

I competenti sostengono che ormai nel continente si è stabilita una tale rete di vincoli e interconnessioni, che il loro smantellamento sarebbe un’impresa ciclopica. E sia. Ma il problema non è se la fine dell’Unione sia opportuna, il problema è se sia fatale. E, se sì, è ovviamente meglio attuare questa enorme decostruzione avendo il tempo e la calma per progettarla e attuarla con cura, non in seguito ad un evento traumatico.

In fondo nessuno credeva all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, cosicché quella decisione non è stata né pienamente valutata, né adeguatamente progettata. È stato soltanto una volta che gli inglesi l’hanno votata, che essi si sono accorti delle conseguenze, al punto che, se avessero rivotato sulla stessa decisione un anno dopo, il “remain” avrebbe largamente prevalso sull’ “exit”. Tenendo conto di questa lezione, perché non attuare gradualmente e in modo razionale la marcia indietro rispetto al sogno che non si è realizzato?

Chissà, potremmo perfino sperare che gli europei, dinanzi alle prime conseguenze concrete della separazione, si rendano conto che si stava meglio quando si stava peggio. E ricomincino a sognare l’Europa unita.

Invece attualmente ci troviamo nella famosa “situazione disperata ma non seria”. Se gli europei non riescono a capire se gli convenga o no questa Unione, forse l’unica cosa da fare è fargli assaggiare l’alternativa. Se possibile con quattro marce avanti, ma conservandone una indietro.

giannipardo@libero.it

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unione europea





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