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Esteri
Kiribati, Maamau senza maggioranza assoluta. Al centro la sfida Cina-Taiwan
La guardia d'onore dà il benvenuto al presidente del Kiribati Tanet Maamau a Pechino, 6 gennaio 2020

La pandemia da Covid-19 non ha fermato le elezioni in Kiribati. Nel piccolo stato insulare del Pacifico si è votato (in doppio turno) per le legislative, così come è stato fatto negli scorsi giorni e settimane in Corea del Sud e in Mali. E anche dal voto in questo paese da poco più di 110 mila abitanti si possono trarre spunti interessanti. Il risultato è un brutto colpo per il presidente Taneti Maamau, il cui partito è sì arrivato primo ma ha conquistato solo 22 dei 45 seggi del parlamento. Questo significa una riduzione di nove poltrone e soprattutto la mancanza di una maggioranza assoluta.  

Sul risultato ha inciso in maniera profonda la decisione, arrivata nel 2019 in rapida successione con quella analoga delle Isole Salomone, di Maamau di avviare i rapporti diplomatici con la Repubblica Popolare Cinese, interrompendo quelli con Taiwan (o Repubblica di Cina). Già, perché alla base della mancata maggioranza assoluta c'è la scissione all'interno del partito di governo, con Banuera Berina che ha guidato una truppa di parlamentari in una nuova formazione proprio per la gestione dell'affaire Cina-Taiwan, sul quale Berina sostiene di non essere stato informato. 

Ora, con le elezioni presidenziali programmate per giugno, la diplomazia di Kiribati in materia potrebbe anche tornare in discussione. "A Kiribati, ma anche in altri stati insulari del Pacifico, la questione sul riconoscimento di Taiwan, cioè la Repubblica di Cina, oppure della Repubblica Popolare Cinese è stata un catalizzatore di controversie e lotte politiche che ha anche segnato le sorti di governi, primi ministri e presidenti", dice ad Affaritaliani.it Fabrizio Bozzato, ricercatore al Cemas Center de La Sapienza e alla Taiwan Strategy Research Association ed esperto di Asia orientale. 

"Quella del riconoscimento di Taiwan o della Repubblica Popolare è uno degli assi sui quali si possono dividere gli stati del Pacifico insulare", prosegue Bozzato. "Negli ultimi anni la tendenza è stata quella del riconoscimento della Repubblica Popolare, come hanno fatto lo scorso anno le Isole Salomone e proprio Kiribati. Taiwan è però riuscita a fidelizzare parti importanti della classe politica e della società civile di quei piccoli stati insulari".

Certo, avviare rapporti diplomatici con Pechino può significare avere accesso a un enorme mercato. "La Repubblica Popolare Cinese può offrire, in termini quantitativi, sicuramente più di Taiwan che ha però dalla sua l'offerta di un rapporto più bilanciato", commenta Bozzato. "Ma non mi stupirei di vedere Kiribati compiere una retromarcia e tornare dalla parte di Taipei. Tale mossa sarebbe accolta molto bene sia a Canberra sia a Washington. Creerebbe scompiglio all'interno delle organizzazioni regionali del Pacifico, primo fra tutti il Pacific Islands Forum. E sarebbe un segnale di inversione di tendenza per Taipei che da diversi anni vede ridurre il numero di alleati diplomatici". 

La vicenda è seguita con interesse con gli Stati Uniti, visto che Christmas Islands, una delle isole dell'arcipelago, dista poco più di duemila chilometri da Honolulu, sede del Pacific Command.

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