L'obiettivo di Trump in Venezuela è frenare la Cina a Panama - Affaritaliani.it

Esteri

Ultimo aggiornamento: 11:24

L'obiettivo di Trump in Venezuela è frenare la Cina a Panama

Trump sta attuando un'escalation di ostilità verso Caracas, funzionale alle necessità politiche della recentissima premio Nobel per la Pace Maria Machado

di Matteo Castagna

L'obiettivo di Trump in Venezuela è frenare la Cina a Panama

Ho già avuto modo di scrivere, recentemente, che intravvedevo un filo diretto tra la vincitrice del Nobel per la Pace Maria Machado, leader dell'opposizione conservatrice a Maduro, e Donald Trump. La telefonata della stessa al Presidente americano, cui ha dedicato la vittoria dell'onorificenza, augurandogli di essere il prossimo a riceverla, dimostrava un certo feeling politico preesistente, comprensibile anche dai toni affettuosi e confidenziali, utilizzati da entrambi.

Poi Machado ha, pubblicamente, chiesto un intervento diretto al Tycoon, finalizzato a raddrizzare la situazione di crisi, repressiva e autoritaria, nel suo Paese, ove si intravedono elementi particolarmente gravi, nella gestione del potere, da parte del leader socialista, Nicolas Maduro.

Sembrerebbe il rovescio della medaglia del multilateralismo di Donald Trump, che, se da un lato, ha ottenuto una tregua nella Striscia di Gaza e vorrebbe fare lo stesso a Kiev, dall’altro si sta spostando - con propositi decisamente meno concilianti - verso l’America Latina, in particolare verso quel Venezuela, che, ormai da tempo, è nemico giurato degli Stati Uniti per le questioni legate al narcotraffico e al petrolio" - sottolinea anche FIRSTonline, in linea con quanto ho già avuto modo di dichiarare nelle ultime settimane.

Il Paese caraibico possiede tra le maggiori riserve di oro nero al mondo, nonnostante sia piombato in una notevole inflazione economica, dovuta alla corruzione e anche all' embargo di Washington, che dal 2020, sotto il mandato di Joe Biden, non riconosce Nicolas Maduro come presidente legittimo.

Trump sta attuando un'escalation di ostilità verso Caracas, funzionale alle necessità politiche della recentissima premio Nobel per la Pace. Negli ultimi mesi - quindi già prima dell'assegnazione del tributo a Machado - ha raddoppiato la ricompensa a 50 milioni di dollari per la cattura di Maduro, ma, già ad agosto, proprio nei giorni in cui si incontrava con Vladimir Putin in Alaska per il noto vertice, ha mandato l’esercito a pattugliare le acque territoriali venezuelane, a caccia di imbarcazioni di narcos.

Alcune di queste, nelle ultime settimane, sono state colpite da missili americani, riportando 27 morti. Secondo quanto rivelato dal New York Times, il presidente americano ha ammesso di aver autorizzato la Cia a compiere “operazioni speciali” in territorio venezuelano, ufficialmente per intensificare la lotta al narcotraffico, ma si ritiene che l’intelligence possa arrivare a catturare o ad uccidere Maduro o membri del suo governo. Sempre secondo il New York Times, sono state autorizzate pure “operazioni letali”.

Trump ha preferito non commentare ma ha rivendicato le iniziative della marina militare al largo di Caracas: “Ogni barca che affondiamo, salviamo la vita di 25.000 americani. Non voglio dirlo con esattezza, ma ora stiamo sicuramente guardando alla terraferma perché abbiamo il mare già molto ben sotto controllo. Credo che il Venezuela stia sentendo la pressione, e altri Paesi anche”.

Maduro è un avversario politico, accusato di frodi elettorali e crimini contro l’umanità nei confronti degli oppositori, ma è stato inserito in una specifica lista nera, con l’accusa di terrorismo internazionale, in quanto presunto leader del "Cartello de Los Soles". Ecco perché, nel contesto di una operazione contro il traffico di droga, verrebbe considerata assolutamente legittima, dal punto di vista statunitense, la sua eliminazione.

L'ONU si è detto preoccupato, per quanto in questi mesi, si sia concentrato, quasi esclusivamente, su Palestina e Ucraina. Maduro, dal canto suo, sta accusando gli Stati Uniti presso le autorità internazionali, di aver ucciso dei semplici pescatori, non dei narcotrafficanti, spingendo l'acceleratore sul teorema per cui gli USA vorrebbero deporlo, per mettere le mani sulle ricchezze del Venezuela, attraverso la Machado, con la scusa della lotta alla droga.

Il dispiego militare statunitense intorno al Venezuela è, attualmente, consistente come ai tempi del Kuwait.

Maduro, pur avendo chiamato alle armi tutta la popolazione, nelle ultime ore si sta esprimendo in maniera assai conciliante sui media sudamericani: “Dico al popolo degli Stati Uniti: no alla guerra. Non vogliamo una guerra nei Caraibi e in Sudamerica. Niente guerra, per favore, per favore, per favore. Ascoltatemi”. Il collega, analista geopolitico italiano trasferitosi in Brasile e scrittore su vari media sudamericani Giuseppe Baselice, su FIRSTonline del 18/10/25 conferma che "in questo contesto va dunque riletto in maniera diversa il Premio Nobel per la Pace recentemente assegnato a Maria Corina Machado".

Effettivamente, a certi media mainstream, magari più solerti nel cogliere elementi per attaccare Trump, che approfondire i fatti, la scelta era sembrata uno sgarbo nei confronti del Presidente. Invece, grazie a fonti sudamericane, avevo annunciato che il trionfo di Machado a Sharm-el-Sheikh potrebbe rivelarsi un “volano” per giustificare un’iniziativa militare, di intelligence, o anche solo di soft power, degli Stati Uniti in Venezuela, che permetta a The Donald di risolvere un' altra situazione delicata di conflitto, in vista del Nobel 2026. FIRSTonline pare riprendere quello che già da tempo avevo scritto sulle colonne di questo giornale: "sembriamo essere tornati alla dottrina Monroe, quella del Sudamerica "giardino di casa" degli Usa.

Il quotidiano brasiliano Folha de Sao Paulo scrive: “Trump crea un mostro tipo Frankenstein, unendo la guerra alla droga degli anni ’80 e quella contro il terrorismo dell’amministrazione di George W. Bush”. Mentre il reporter Baselice ricorda che "l’ultima volta che si sono viste in America Latina minacce simili a quelle di Trump in Venezuela era il 1989, quando gli Stati Uniti invasero Panama".

A tal proposito, mi sembra importante collegare il fatto che nel suo discorso inaugurale, Donald Trump ha gettato sul piatto delle relazioni internazionali un argomento inaspettato, che aveva però già usato in campagna elettorale: il Canale di Panama e l’importanza che esso ha per il commercio mondiale. L’abbiamo dato a Panama, non ai cinesi, ha detto il 47esimo presidente con la sua consueta disinvoltura, e ce lo riprenderemo (we’re taking it back). Panama è stato il primo Paese dell’America Latina a sottoscrivere la BRI, nel 2018, e le imprese cinesi hanno rafforzato la loro presenza alle due estremità degli 81 km del canale, ad esempio a Colón, dove esiste la più ampia Free Trade Zone dell’emisfero occidentale e dove le società cinesi hanno contribuito all’adattamento del porto per le mega-porta container.

In questo quadro, gli USA rimangono i principali utilizzatori del canale tra i due oceani e le due coste del Nordamerica: il 72,2% del volume di merci in transito attraverso il Canale nell’anno fiscale 2023 è statunitense (con un probabile 75% nel 2024), contro il 22,5 % della Cina, dato in ascesa.

La questione del Canale di Panama, in conclusione, è una delle pedine del più ampio gioco globale che vede USA e Cina in competizione per il controllo finanziario e strategico dei commerci marittimi, per cui sembrerebbe lecito pensare che la strategia del Pentagono possa essere quella di frenare la spinta della Repubblica Popolare Cinese a Panama, anche passando attraverso un Venezuela dal governo "amico".

È chiaro che per Washington il coinvolgimento cinese nei porti panamensi è visto come una minaccia alla supremazia americana nella regione e proteggere il canale significa affermare l’influenza economica e politica degli Stati Uniti nell’emisfero occidentale. In questo senso, avere gli uomini e le aziende di Xi Jinping, massicciamente, sulla porta di casa, rappresenta per il presidente dell’America first una sfida non solo economica, ma anche geopolitica e di immagine.