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Esteri

Dopo giorni con il fiato sospeso e gli occhi di tutto il mondo puntati alle elezioni americane, la risposta alla domanda più sentita negli ultimi tempi è arrivata: il democratico Joe Biden è il 46esimo presidente degli Stati Uniti.

La sua corsa alla Casa Bianca si è conclusa dopo un lungo testa a testa. E se, mentre la cartina americana si colorava di Stati rossi e blu, Biden ha adottato una linea soft e fiduciosa per parlare al popolo americano, il presidente uscente, Donald Trump, ha condito l’attesa con polemiche, denunciando brogli elettorali e minacciando di intervenire legalmente in caso di sconfitta.

Se l’incognita di un ricorso alla Corte Suprema da parte di Trump non è escluso, la certezza in questo momento è pur sempre il risultato. Insieme a Kamala Harris, Biden ha conquistato lo studio ovale con il maggior numero di voti popolari di sempre.

“Lasciatemi essere chiaro, dovevo fare una campagna come Democratico, ma governerò come presidente americano. La Presidenza, di per sé, non è un’istituzione di parte. È l’unico ufficio in questa nazione che rappresenta tutti e richiede un dovere di cura per tutti gli americani, e questo è esattamente quello che farò. Lavorerò duro per chi non ha votato per me, così come lo farò per chi mi ha votato” così Biden si è rivolto alla Nazione in uno degli ultimi discorsi prima del proclama decisivo da vincitore.

Indubbio è che i risultati di questa elezione devono essere inquadrati considerando successi e fallimenti di una lunga campagna elettorale. Nel panorama che si presenta davanti agli occhi dei vittoriosi democratici spunta un dato da non sottovalutare: gli ispanici hanno preferito Trump e il presidente uscente ha conquistato tre su dieci elettori non bianchi, contro i due su dieci di quattro anni fa.

Nonostante la politica di Trump della “tolleranza zero”, con violente critiche alle minoranze, scene di bambini strappati al confine con il Messico dai genitori e proteste estese in tutto il Paese del movimento “Black lives matter” per la difesa dei diritti della comunità nera, l’imprenditore repubblicano è riuscito comunque a scalfire il cuore di alcuni di quegli americani da lui discriminati, che lo hanno scelto (o riscelto) nonostante le sue severe posizioni.

Ma se la linea di Trump è sempre stata chiara sulle questioni riguardanti le politiche migratorie, quali sono i passi che intende compiere il neo presidente democratico?

Gli intenti primari in materia entrano in netto dissenso con la politica trumpiana: contrasto del Muslim ban, abbandono della costruzione del muro ai confini con il Messico e una particolare attenzione per i “dreamers” ovvero i giovani immigrati portati negli Stati Uniti dai genitori clandestini, favorendone la regolarizzazione.

In realtà una riforma simile a quella che Biden ha in mente fu già attuata da Obama nel 2012. Parliamo della DACA (Deferred Action on Childhood Arrivals), una politica di immigrazione che permetteva ai minorenni entrati illegalmente e rimasti illegalmente sul suolo americano di poter usufruire di un rinvio di espulsione della durata di due anni e rinnovabile ma senza prevederne la regolarizzazione. La legge fu revocata da Trump ma alla fine la Corte Suprema lo bloccò.

Nel suo programma il nuovo presidente avrebbe  posto come obiettivo quello di favorire l’aumento dell’immigrazione regolare con visti di lavoro, puntando  offrire un percorso di regolarizzazione ai 12 milioni di immigrati non autorizzati con fedina penale pulita.

La linea di Biden si impone di  “stare al passo del 21esimo secolo”, non solo ammettendo l’esistenza di un problema di discriminazione razziale all’interno del Paese, sempre negato da Trump, ma considerando gli immigrati necessari allo sviluppo dell’America, una risorsa.

Se Trump ha sempre considerato i nuovi arrivati come un problema da risolvere e come persone dalle quali la nazione doveva difendersi, oggi sembrerebbe non essere più così.

Joe Biden vuole essere il “presidente di tutti” e con la vittoria alle elezioni 2020, se le politiche in ambito di immigrazione dovessero essere attuate, le minoranze che vivono sul suolo americano possono tirare un sospiro di sollievo. Anche se, dati elettorali alla mano, questa linea sembra più funzionare sulle minoranze nere piuttosto che su quelle latine.

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