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Ristoratori ricattati dai food blogger: ecco come gli influencer li contattano

Ristorazione, il "ricatto" dei food blogger. Ecco come contattano chef e non solo

Da quando il governo ha deciso di attivarsi per normare il far west delle recensioni a locali, hotel e simili, nessun blogger può stare tranquillo. 

Come spiega Gambero Rosso, contenuti, cioè, senza ben in evidenza gli hashtag previsti dalla legge: #invited o #invidedby se si viene invitati a partecipare a un’esperienza, come una cena o un soggiorno, #gifted se si riceve un prodotto in regalo, #supplied o #suppliedby se si viene omaggiati di un servizio, un pasto o un viaggio in cambio di visibilità, mentre #ad o #adv devono essere usati per comunicare agli utenti, in totale trasparenza, che si è stati pagati per pubblicare video, foto o stories su determinati prodotti, luoghi o servizi. Di più. L’influencer, che si è difesa sostenendo che il suo guadagno non deriva dal social, vanterebbe secondo l’Agcm, «una notevole popolarità basata su un numero consistente di follower, circa 2 milioni, la maggior parte dei quali sembrerebbe non autentica».

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Il tema, ovviamente, sono le tasse. Quelle non pagate, gli incassi mai dichiarati da food blogger, content creator e influencer che mangiano (gratis) e vengono pure retribuiti per postare video, foto e stories per vendere al meglio il locale e farlo brillare tra migliaia di contenuti sul web. Una forma di pubblicità occulta, pagata dai titolari dei locali che in tempi di crisi, e attirati dal seguito virtuale di queste persone, sperano di riuscirsi ad accaparrare qualche cliente in più.

Per i blogger che lavorano in modo disonesto, però, si tratta di un’autentica macchina dei soldi. Che funziona più o meno così: chi c’è dietro a pagine e profili contatta i ristoranti proponendo prezzi e servizi. Chi ha dai 10mila followers in su chiede 70 euro per un reel, un video. Ai quali va ovviamente aggiunto il costo di una cena completa per due-tre persone.

Ma i prezzi salgono a seconda del numero del seguito che si ha: chi ne ha di più, si fa pagare anche meglio e può concedersi di sedersi al tavolo dei locali per mangiare e basta, senza fare il lavoro sporco. Quello, una sorta di porta-a-porta, ristorante per ristorante, è affidato a dei giovani che cercano di mettere da parte qualche soldo. I requisiti? Nessuno. Nemmeno saperne qualcosa di enogastronomia. Tanto è il denaro a comandare: poco importano sapore, qualità della materia prima, l’eventuale processo di selezione degli ingredienti. Basta trovare un locale che paghi. Se in nero, è tanto di guadagnato.

Food blogger, la tecnica per le “proposte”

«Lunedì a Trastevere, martedì a Fiumicino, mercoledì a Testaccio, giovedì a piazza Bologna, venerdì a Civitavecchia – si legge in una chat, visionata dal Gambero Rosso, tra un blogger e un ragazzo che stava cercando un impiego – Ti metti di santa pazienza e ti giri ogni attività in quella zona dicendogli che cosa fai e se sono interessati». E se lo sono «ti prendi un contatto e lo passi alla ragazza in ufficio che poi ci chiude un accordo». Solo se va in porto «a te viene retribuita una percentuale». Altrimenti ci si deve accontentare di un piccolo fisso e di un rimborso spese, visto che «il guadagno vero sta nel prendere contatti con locali interessati», dai ristoranti alle pizzerie, passando per posti dove fare aperitivo, botteghe o addirittura centri commerciali, come successo con uno, molto noto, all’Eur.

A firma avvenuta parte lo scrocco: si va a cena, che ovviamente è offerta, si gira il video e poi lo si lancia online dopo aver ricevuto i contanti in mano. Anche 1.400 euro per una collaborazione più duratura, di un mese, che preveda foto e video. Nel filmato i locali vengono incensati e pompati, le portate presentate ad arte con l’obiettivo di catturare l’attenzione, e il portafogli, di qualche utente. Ma senza gli hashtag previsti dalla legge, e quindi senza evidenziare il contenuto promozionale delle immagini, la clip diventa una pubblicità occulta.

Così, insomma, funzionano gli spot del cibo nell’era dei social. Qualcuno che si è ribellato c’è anche. Alcuni personaggi, come Franchino Er Criminale, all’anagrafe Alessandro Bologna, ha lanciato il format delle “Marchette criminali”: recensioni live dei posti tanto sponsorizzati da pagine e influencer. Quasi tutti pesantemente bocciati. Tra i ristoranti finiti nel mirino dei food blogger c’è Santo, a Trastevere. Il proprietario Daniele Fadda li definisce «mercenari», perché «sono persone che prima vanno in un locale e dicono che è tutto buono, il giorno dopo vanno in quello accanto e dicono lo stesso». E a volte, senza vergogna, «propongono cene gratis anche per tutta la famiglia in cambio di post e stories sui social». Una sorta di scambio merce, più che di un servizio professionale.

Il caso di Lele Usai a Fiumicino

E a ragion veduta, visto che cresce anche il numero degli chef e dei cuochi che sulle loro pagine social raccontano le proposte di blogger e influencer che chiedono un pasto a sbafo. A gennaio 2023 Daniele Usai, ai fornelli dei ristoranti Il Tino (una stella Michelin) e del 4112 – QuarantunoDodici, entrambi a Fiumicino, a due passi da Roma, ha riportato sul suo profilo Facebook uno scambio di email con una food blogger (oscurando i dati sensibili). Una proposta finita male che si è trasformata in un boomerang. L’imprenditrice digitale, che oggi vanta 12,6mila followers, si è presentata come «blogger professionista» e come fondatrice di una «community al femminile per blogger di viaggio», attualmente seguita da poco più di 8mila persone. A farne parte sono anche donne che hanno appena 200 o 350 “seguaci”, con profili e pagine dall’aspetto amatoriale, se non addirittura poco curato. Comunque ben lontano dal professionismo.

«Con un gruppo composto da 5-7 blogger – si legge nella mail – faremo una visita guidata al sito archeologico di Ostia Antica e al museo delle Navi romane di Fiumicino. Vi scrivo per proporvi una collaborazione, visto che siete in zona». In cambio «della vostra ospitalità», e quindi di un pasto gratuito, «offriamo promozione attraverso i profili social delle singole partecipanti e della community, oltre a citarvi tra le attività del tour sul magazine e sui nostri blog, da cui i prossimi turisti a Ostia prenderanno spunto per i loro itinerari». Il gruppetto, alla fine, il pranzo gratis è riuscito comunque a farlo in altri locali, che hanno accettato di servire e riverire una tavolata in cambio di un po’ di visibilità sui social.





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