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Grandi dighe sempre più obsolete. E' l'ora della rimozione sostenibile
Yichang (Hubei), China

Dal Medio Oriente al Sudafrica, dal Fiume Giallo al Vajont, l’uomo fin dai tempi più antichi ha cercato di rendere vivibile il proprio territorio, creando delle strutture a suo “vantaggio”. Tra le tante ci sono le dighe. Naturali o artificiali, murarie o di materiali sciolti, di sbarramento o traverse fluviali, il mondo intero conta a oggi più di 58mila “grandi dighe”. Costruzioni da un’altezza di 15 metri o più, capaci di immagazzinare tra i 7.000 e 8.300 chilometri cubi d’acqua e fornire alla vita terrestre la risposta a due bisogni fondamentali: la fame di acqua ed energia. Le dighe sono infatti il principale strumento attraverso cui regolare l'approvigionamento idrico, il comportamento dei fiumi riducendo il rischio di inondazioni, avere riserve di acqua per fini agricoli, ma anche produrre energia idroelettrica.  

Grandi dighe, lo studio dell'UNU

Indispensabili da una parte, ma sempre più vecchie e "sofferenti" dall’altra. Secondo un recente studio dell’UNU (Università delle Nazioni Unite), entro il 2050 la maggior parte della popolazione mondiale vivrà̀ a valle di dighe costruite nel ventesimo secolo, ormai prossime al "tramonto", con un’età ben superiore rispetto a quella stimata come periodo massimo. Dal report si apprende che “la maggior parte delle 58.700 dighe presenti nel mondo sono state costruite tra il tra il 1930 e il 1970, con una vita progettuale compresa tra 50 e 100 anni". Ma con la certezza che a 50 anni una grande diga in cemento “avrebbe iniziato, molto probabilmente, a manifestare segni di invecchiamento”. Segni che– si legge nel report– sono già evidenti in numerosi casi di cedimenti di dighe, interventi mastodontici con costi di riparazione e manutenzione in progressivo aumento, crescita della sedimentazione del bacino idrico e conseguente perdita di funzionalità ed efficacia della diga stessa. 

Grandi dighe, la "sostenibilità" nel processo di rimozione 

E’ per questo che molti Paesi sia ad alto reddito come Stati Uniti, Francia, Canada, Giappone, che a basso come Zambia o Zimbabwe stanno intensificando lo smantellamento di vecchie dighe. Mentre è ancora in una fase di iniziazione la demolizione delle "grandi". Questo per un motivo molto pratico: smantellarle comporterebbe la progettazione di interventi lunghi, complessi e onerosi, sia dal punto di vista economico che ambientale. Ma è un problema che va affrontato. Che non coinvolge solo piccole aree, ma interi nazioni. Dai grandi numeri di Cina (23.841), India, Giappone, Repubblica di Corea, fino ai più modesti dell'Italia (514). 

Per fronteggiare l'accelerazione delle rimozioni, sopratutto di quelle "a rischio", occorre- secondo l'analisi UNU- sviluppare un quadro di protocolli sostenibili con team di operazione pubblici e privati. Il rischio ambientale legato all’invecchiamento delle costruzioni, così come quello di approvigionamento idrico, non sono più "sottovalutabili". Porre il problema al centro dell’attenzione globale– precisa il report– è un primo passo per stimolare il panorama internazionale e "ripensare in modo sostenibile l'economia delle infrastrutture". 

 

 

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