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Roma, 7 feb. (Labitalia) - "Anche se sono spesso pmi, le aziende italiane producono beni o servizi difficilmente sostituibili e che, per questo, possono farsi largo anche in mercati esteri, dove l’appeal del made in Italy rimane forte. Dotate di una brand identity e di una reputazione di altissimo profilo (soprattutto nei settori trainanti del food, fashion e forniture, che da sole valgono un terzo del made in Italy), le aziende italiane, se disposte ad innovare nei settori strategici, hanno ottime prospettive di crescita e profitto". A dirlo nel suo intervento sul blog di Deloitte l'amministratore delegato di Italia, Grecia e Malta Fabio Pompei, nel commentare i primi risultati del 'Censimento permanente delle imprese' di Istat."Le pmi- continua Pompei- possono liberare il proprio potenziale solo se accompagnate in questa fase delicata di transizione tecnologica. Una sfida in cui Deloitte in Italia è impegnata in prima linea con Impact for Italy, il progetto con cui il nostro con cui il nostro network vuole dare il proprio contributo come attore di cambiamento per il Paese. Deloitte infatti vuole mettersi al fianco di tutte queste realtà attraverso un consolidato approccio multidisciplinare e supportare il sistema economico verso uno sviluppo sostenibile". "La chiave di volta - suggerisce - sta nel riuscire a trovare l’equilibrio tra orientamento nel lungo periodo ed esigenze a breve termine per garantire il prolungato successo della propria organizzazione, ma anche per creare valore e competitività sui mercati sovranazionali"."Competere in un contesto globale - spiega Pompei - coniugando trasformazione tecnologica e sostenibilità: è questa la grande sfida che attende il mondo del business nei prossimi anni. Una sfida a cui anche le PMI italiane devono prepararsi con strategie adeguate: di piccole dimensioni, ostacolate dalla burocrazia, timide su innovazione tecnologica e apertura ai mercati internazionali, le pmi del nostro Paese, secondo il censimento permanente 2019 dell’Istat, devono tenere il passo per adeguarsi ai trend dell’economia globale". "Ma il potenziale di successo - avverte - è altissimo: leader per qualità di prodotti e servizi e con punte di eccellenza internazionalmente riconosciuta, le aziende italiane hanno grandi opportunità di crescita che le attendono. Per raggiungere questo obiettivo, però, serve una strategia integrata per superare gli ostacoli che oggi le frenano".Secondo i dati raccolti da Istat, "infatti, le aziende italiane continuano a presentare caratteristiche che, in molti casi, le svantaggiano sui mercati internazionali: otto imprese su dieci tra quelle censite (il 79,5%) sono microimprese, cioè hanno al massimo 9 addetti. Solo il 2,3 delle imprese sono medio-grandi, ovvero, hanno più di 250 addetti. Ma sono proprio queste le aziende che hanno più chances di sopravvivere nel mercato della competizione globale. E, non a caso, il trend registrato da Istat in Italia, si allinea a quello mondiale: tra il 2011 e il 2018 oltre 12 mila aziende italiane sono state costrette a chiudere, mentre il numero di addetti è cresciuto di oltre 500 mila unità. In altre parole, le aziende medio-grandi sono riuscite a reggere il ritmo della competizione. Le altre, invece, fanno fatica"."Un'altra costante - continua - del panorama imprenditoriale italiano rilevata da Istat riguarda la gestione aziendale: 3 aziende su 4 con almeno tre addetti (il 75,2%) continuano ad essere controllate da una persona fisica o da una famiglia. All’aumentare delle dimensioni aziendali, cresce la propensione alla gestione manageriale, che interessa il 9,2% delle medie imprese e il 21,2% delle grandi. Siano ostacoli finanziari o culturali, le pmi continuano a fare a meno di una gestione manageriale professionale e questo, spesso, pregiudica il superamento di quei bias culturali che impediscono alle aziende di crescere e diventare competitive"."Ma oltre il 20% delle imprese - avverte - nel periodo 2013-2023, ha realizzato o realizzerà un passaggio generazionale: un passaggio di testimone che potrebbe portare a quel cambio di passo di cui molte pmi hanno bisogno. Solo nel triennio 2016-2018, secondo Istat, oltre 3 imprese su quattro [il 77,5%] con 10 o più addetti ha attuato processi di digitalizzazione e ha investito in nuove tecnologie. Ma spesso questi processi sono limitati e non vanno di pari passo all’aggiornamento delle skill dei lavoratori. A lamentare l’inadeguatezza della formazione dei lavoratori rispetto alle nuove esigenze del mercato sono soprattutto le grandi aziende, che in futuro dovranno investire sempre più risorse per aggiornare le proprie risorse umane"."A fronte di queste criticità - conclude Pompei - che rendono vulnerabili le imprese italiane nello scenario globale, i punti di forza delle pmi sono chiari e ci permettono di essere ottimisti: secondo Istat la qualità resta il principale fattore competitivo delle aziende italiane, come dichiara il 71% delle aziende con almeno 10 addetti".





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