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Covid: oltre il lockdown, la malattia e la morte resta l’amore per la vita

La Rosa e il nonno

Quando la brezza del mattino le accarezzò leggera i petali, la rosa cominciò a parlare: “La mia vita è breve, lo so; è lo scotto che ogni cosa bella deve pagare; io sfiorisco presto, ma la gioia di chi mi guarda è infinita. Cosa sarebbe il mondo senza le rose? Sarebbe grigio e triste, come una casa senza bambini o una città senza giovani.”

“Che smancerie, brontolò la patata, piantata lì proprio quell’anno da un giardiniere distratto, a che servono le rose?”

“Zitta tu, che là sotto non vedi e non sai nulla.”

“A parte che ho anch'io qualche foglia, rimbeccò la patata, quando mi prendono e mi fanno cuocere, muoio ma almeno faccio del bene a qualcuno.”

“È la solita gara fra il bello e l'utile, vecchia quanto il mondo, disse la quercia, la  ascoltavano  già  le  mie  cugine  sequoie  del  parco  di  Yellowstone,  quelle  che  hanno  pianto  la  morte  del  presidente  Lincoln.”

“Lì i grandi presidenti li ammazzano sempre”, piagnucolò un cespuglio di lavanda, seminata anni addietro.

“Noi siamo più bravi, disse l’ippocastano, al massimo li facciamo dimettere.”

“No, il fatto è che non ci sono grandi presidenti”, osservò sconsolato il ranuncolo.

“Non buttiamo la roba in politica, qui non siamo a Roma e nemmeno in un talk show”, protestò il platano.

“Vorremmo sentire discorsi più intelligenti, alitarono, svettando in alto, i cipressi, non le solite baggianate che sembrano un romanzo moderno.”

“Dovreste essere gli ultimi a lamentarsi.  Per la vostra abituale funzione non siete ben visti, anzi siete invisi, come ha scritto Orazio”, sentenziò l'olmo, che era cresciuto nel giardino del Liceo Classico.

“Saremo anche invisi, però noi li accompagniamo soltanto: al cimitero ci vanno gli uomini".

Nonno Alberto chiuse il libro e si alzò dalla poltrona. Si accostò al letto della piccola Marta e si avvide che dormiva, placida, con le labbra che accennavano un tenero sorriso. Adesso poteva andare a letto anche lui. Per tutto il giorno Alberto attendeva quel momento, quando Marta si coricava e lui le leggeva una fiaba. Qualche volta barava: era lui che inventava le storie, soprattutto quelle che era convinto sarebbero piaciute alla bambina. Quella dei fiori che parlavano, per esempio, era sua ma tutte le volte ne modificava il contenuto. Sapeva bene che Marta non avrebbe potuto comprendere la storia del bello e dell’utile. Lei, però, amava molto i fiori.

Un giorno l’aveva sentita parlare con un mazzo di rose, ormai secco, finito nella pattumiera. “Chi vi  ha  buttato  in  questo  secchio?  Dovrò dirlo  alla  mamma.  Così non va bene”.

“Siamo appassite, cara bambina”.

“Come? Cosa vuol dire che siete appassite?”

“Non vedi come siamo ridotte? Non siamo più belle”.

“No, non è vero che non siete più belle”.

“Ci stiamo pian piano sfogliando; i colori sono spenti”.

“I colori? Non risplendete più? Chi lo dice?”

“Chi ci ha buttato via perché non serviamo più”.

“Bugia, guarda che bel colore giallo: riuscite ad illuminare persino  questo brutto secchio”.

“Ormai non abbiamo più la forza di alzare la testa, mia cara”.

“Volete dire che il vostro capo si è piegato”

“Sì.  Le foglie sono avvizzite e tra un po’ lo  stelo resterà  da  solo.  Che malinconia!”

“Sì, è vero. Avete reclinato il capo. E allora?” “Allora  bisogna  separarsi,  piccola  cara.  Noi  moriremo  e  tu  conoscerai altre nostre sorelle”.

“Questo non mi piace”.

“È la vita, tesoro”.

“Rispondete  allora  a  questa  domanda:  cosa  facciamo  quando  il  nonno sulla poltrona, con il libro in mano piega la testa? Lo buttiamo  forse nella pattumiera?”

Le rose non risposero più. 

“No,  no,  nonno  Alberto  non  lo  buttiamo  nella  spazzatura.  La  mamma mi sentirà!”

Ed era andata avanti nel suo dialogo immaginario finché non aveva scoperto la presenza del nonno. Alberto non ne aveva parlato con nessuno. Marta allora aveva cinque anni e viveva una vita serena, insieme ai genitori e al nonno materno  che, rimasto vedovo due anni prima, intontito dal dolore per la perdita della compagna di una vita, si era lasciato convincere ad intraprendere un nuovo viaggio, accettando di andare a vivere a casa della figlia Flavia.

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