Libri & Editori
Premio Strega, Paolo Di Paolo ci introduce nell’era del “Romanzo senza umani”

Un viaggio sulle rive di un lago ghiacciato si rivela il pretesto per riflettere sul passato, sulla memoria e sulla percezione che gli altri hanno di noi
Il professor Barbi è ormai un uomo di una certa età quando sente l’esigenza di partire per rivedere un lago del nord Europa andato incontro, secoli or sono, a una misteriosa glaciazione. È uno storico e la vicenda ambientale lo intriga non poco, ma sarà solo un pretesto per mettere in discussione la sua intera vita.
Non ha vinto il Premio Strega 2024, ma Romanzo senza umani di Paolo Di Paolo è senza dubbio un titolo che si distingue nel panorama della letteratura contemporanea sia per la sua originalità che per la profondità dei temi trattati. Pubblicato da Feltrinelli e già disponibile anche su Audible, il libro non solo ha suscitato grande interesse tra lettori e critici, ma è anche rientrato nella sestina dello Strega, fatto – quest’ultimo – che ha dato tanto all’opera quanto all’autore la possibilità di farsi conoscere in tutta Italia, specialmente grazie allo Strega Tour. Noi di Affaritaliani.it abbiamo preso parte alla tappa di Macerata Racconta, dove Paolo – scrittore, giornalista e tanto altro – ha detto a proposito del punto di partenza del suo lavoro: “Anni fa mi ero segnato una frase, poi diventata una seconda epigrafe, di Peter Handke, che quando andò a ritirare il Premio Nobel disse: ‘non ignorare mai quel che un albero o uno specchio d’acqua hanno da dirti’. Queste parole mi hanno accompagnato mentre mi trovavo sul lago di Costanza e mi chiedevo cosa ci facessi lì; in fondo, questo stesso quesito è quello che si pone il protagonista di Romanzo senza umani: interroga uno specchio d’acqua nel presente per cercare di capire cosa possa svelargli in merito alla piccola era glaciale che secoli addietro si verificò proprio qui. In quell’area d’Europa, infatti, si registrò un crollo vertiginoso delle temperature, tale da far rimanere il lago congelato per sei mesi ininterrottamente. Tutto ciò è però la metafora di che cosa potrebbe essere il nostro stato nell’attimo dell’adesso, in questo spazio liquido o gassoso che abitiamo. Dunque che cosa ci dice in realtà quel lago? Rappresenta un oblio? È la dimensione della dimenticanza, oppure qualcosa che ha a che fare con una glaciazione interiore, disposta a rendersi manifesta e quindi comprensibile solo passo dopo passo, nel corso di questo viaggio? In fondo François Rabelais sosteneva che se c’è un posto in cui le parole gelano, allora ce ne deve essere anche uno in cui disgelano”.

Barbi sembra essere il più chiaro esempio di questa glaciazione: a poco a poco la sua vita si è trasformata in una routine insoddisfacente e anche in una grande solitudine, dal momento che lui stesso ha preso le distanze dagli allievi, dai colleghi, dagli amici di un tempo, dall’amore, finendo appunto per essere un perfetto cristallo d’acqua congelata. Eppure, una mail ritrovata, un pensiero infiltrato nella mente distratta, a un certo punto lo portano a voler riaprire la conversazione proprio con quelle persone che non sente più da anni. Perché ci siamo persi? Che cosa è successo esattamente tra noi da far sì che un legame tanto stretto finisse nel nulla? E dove sono finiti tutti quei bei ricordi che avevamo insieme? Il professore si accorge così di una realtà ancora più dura da digerire: non soltanto il mondo attorno a lui è andato avanti, proseguendo la propria vita nella sua assenza senza restarne troppo sconvolta, ma persino la memoria lo inganna più volte, perché ciò che lui ricorda con piacere, come un momento felice e indimenticabile, per altri non lo è affatto. Dunque, tutto all’improvviso si rimette in gioco: che cosa hanno vissuto le persone accanto a me? Come mi hanno visto, giudicato e qual è il pensiero del sottoscritto che rimane loro dopo così tanto tempo? Le verità si sfaldano, niente è più come prima, mentre gradualmente assume sempre più importanza non tanto chi siamo, quanto il ricordo che lasciamo dietro e attorno a noi. In parrticolare, alcune frasi lo colpiscono con una violenza inaudita e sono in grado di mandare all’aria l’intero castello che pensava di aver costruito su solide fondamenta: «A te sembra il contrario, lo so. Ma la verità è che hai dato così poco, Mauro, credimi, così poco!».
Con il senno di poi il professor Barbi si lascia sorprendere anche dal rimpianto di ogni parola non detta, ogni elementi taciuto, ogni cosa data per scontata e quindi non esplicitata, come se l’altro avesse sempre potuto capire, interpretare, cogliere, o in ogni caso senza preoccuparsi troppo del suo bisogno di sentire, a volte, certe parole. L’importanza della parola, del linguaggio, per uno storico dovrebbe essere centrale; invece, la consapevolezza del suo valore arriva troppo tardi, nell’era della deglaciazione, quando iniziano a spuntare i discorsi tra sé e sé: «Mauro, Mauro, ma perché non sei stato più attento? Perché non sei stato più presente? Eccoti qua, se vuoi dare un’occhiata, l’elenco delle parole che ti sei risparmiato, dei gesti che avresti potuto fare e non hai fatto. Il tuo grande errore? Pensare che la benevolenza l’affetto la cura si intuiscano – che bisogno c’è di dire, di fare? E invece, caro Mauro, ce n’è un gran bisogno. Occorre dimostrare. Ah, le vedi?, le tue struggenti occasioni mancate».
Gli istanti, lo scorrere del tempo, i mondi e le storie che si incrociano e danno vita a nuovi mondi. Nella tappa di Macerata Racconta, Loredana Lipperini ha interrogato Di Paolo anche a proposito del disgelo, mettendo in evidenza un particolare passaggio del romanzo in cui si esce dal sé per guardare, come se si fosse una personalità esterna e onnipresente, ciò che sta avvenendo sul nostro pianeta in questo preciso secondo: persone che nascono, persone che muoiono, persone che si amano, che si incontrano, mangiano, camminano. Un momento di totale apertura di cui forse si ha bisogno in un periodo storico in cui ci si rapporta tanto, troppo spesso al sé. A riprova del fatto che proprio questo è il filo conduttore di Romanzo senza umani (che in realtà di umanità ne ha tanta, eccome), l’autore ha risposto: “Non è che ci ho pensato solo in quel momento a questo aspetto. Ho prestato al personaggio tante ossessioni, studiate e ragionate con cura, ma quella pagina l’ho scritta di getto a mano mentre mi trovavo in aereo: avevo una matita, ho preso un quaderno, come in una specie di trans che a volte prende tutti noi scrittori e ho buttato giù due o tre facciate. Il pensiero di fondo è questo: talvolta se mi concentro posso sentire che in questo preciso istante sta avvenendo il crepitio dell’umano, il formicolio; c’è chi nasce, chi muore, chi si muove, chi mangia… Tutto questo mi dà un senso di testa che esplode e al contempo mi genera un sentimento di pietà per tutti noi, perché siamo tutti dentro lo stesso spazio. La verità è che crediamo di contare qualcosa, ma l’universo è così tanto più grande, più largo e noi siamo più insignificanti di quello che pensiamo”.
Ecco, allora, il valore di ciò che resta dopo, quando ce ne siamo andati (che sia per un abbandono o per una morte, poco cambia). Che cosa ricordano, gli altri, di noi? C’è scritto sulla quarta di copertina del libro, e forse questa è proprio la domanda che nessuno ha davvero il coraggio di farsi, perché fa male scoprire che ciò che desideriamo di aver lasciato dietro di noi non coincide affatto con ciò che effettivamente abbiamo lasciato. Concludiamo quindi con le parole che un altro grande scrittore, André Aciman, ha dedicato a questo libro: «Paolo Di Paolo affronta un tema poco esplorato: la memoria è turbamento. C’è chi ricorda troppo, chi ricorda meno, chi non percepisce lo scorrere del tempo. Siamo tutti congelati fra versioni sconnesse del passato. Non è facile leggere la vita mentre accade. Un romanzo magnifico e audace».