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Digital Tax, Renzi ripesca la legge anti-Google

Google tax, web tax e, adesso, digital tax. Cambiano i termini (e in parte le caratteristiche) ma l'obiettivo resta lo stesso: far pagare le tasse alle multinazionali del web nei Paesi in cui operano. Senza scorciatoie fiscali che passino da Lussemburgo o Irlanda.

L'idea è stata rilanciata da Matteo Renzi durante Otto e Mezzo, su La7. “I grandi player dell’economia digitale – ha affermato il premier - hanno un sistema per cui non pagano le tasse nei luoghi dove fanno business. Abbiamo aspettato per due anni la legge europea, facciamo gli ultimi sei mesi attendendo un provvedimento, ma dal 2017 – e già da questa stabilità – immaginiamo una “digital tax” che vada a colpire con meccanismi diversi da quelli immaginati nel passato nei luoghi dove vengono fatte le transazioni. Non arriveranno a cifre spaventose, non basteranno a risollevare l’economia del paese, ma sarà legge in Italia dal 1° gennaio 2017”.

Un annuncio (in prima serata) che segna una sterzata rispetto alla condotta seguita fino a ora. E che ha spiazzato un po' tutti, compreso il senatore di Scelta Civica Stefano Quintarelli, sulla cui proposta dovrebbe impiantarsi la “digital tax”.

Rispetto alla web tax concepita dal Pd Francesco Boccia, non si richiede l'apertura di una partita Iva in ogni Paese per le aziende che operano via web. Anzi, a definizione rigorosa, la digital tax non sarebbe neanche una tassa ma una ritenuta fiscale che preleva il 25% del fatturato generato in Italia. A patto che sia costituita una “stabile organizzazione”. In altre parole: anche se la sede fiscale è in Irlanda, è chiaro che l'azienda ha sedi, interessi e produce fatturato in Italia.

Difficile che Facebook, Google e compagnia accettino di versare il 25% del proprio fatturato dichiarandosi “stabile organizzazione” (anche se lo ha già fatto Amazon). Più probabile che siano spinte a un contenzioso che, alla fine, porterà a un accordo con il fisco italiano (e a un incasso, anche se parziale). L'orientamento sembra questo, come fanno intuire le parole di Renzi: “Non arriveranno cifre spaventose”. Quindi niente miracoli sul gettito. Senza dimenticare la grande incognita: i giganti scaricheranno i costi aggiuntivi sui clienti? Se così fosse sarebbe una mazzata per l'intero ecosistema digitale italiano. L'interesse resta alto, come dimostra il fatto che l'hashtag #digitaltax è trending topic su Twitter.

Fin qui l'aspetto più tecnico. Resta anche il punto politico. Primo: è vero, la digital tax non è la web tax. Ma allora la proposta (del lettiano Boccia, in rotta con il neo-premier) fu silurata non tanto perché ritenuta errata (Renzi non è mai entrato nel dettaglio) quanto perché rappresentava una iniziativa di un singolo Paese e non dell'Europa. Ora, quello che sembrava un obbligo (aspettare una legge comunitaria per rendere la misura davvero efficace) è diventato un dettaglio.

@paolofiore

Tags:
digital taxmatteo renzistefano quintarelliweb taxgoogle taxelusione fiscale
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