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Federico Rampini a In Onda parla di Trump

Federico Rampini, inviato di Repubblica negli Usa, è un giornalista eccentrico che si vuol far notare.

Ieri sera ad esempio ad In Onda, trasmissione serale de La7 condotta da Luca Telese e David Parenzo, era vestito un po’ come lo Zio Sam dei manifesti dell’arruolamento nell’esercito Usa, Paese di cui, fino all’avvento di Donald Trump, era grande ammiratore tanto da essere stato naturalizzato americano.

Rampini con bretellone alla Giuliano Ferrara dei tempi migliori, discetta di America e miti kennediani ormai tramontati nell’era del sovranismo e lo fa con una certa supponenza intellettuale a lui tipica.

Naturalmente Trump è visto in signore che sostanzialmente “attenta” alla democrazia americana e lo dimostra nel suo rapporto sprezzante con la stampa e con i social, che però, va detto, gli sono tutti contro. Trump è uno che si è ribellato al pensiero dominante e non si è fatto aggiogare dal New York Times e dal Washington Post, i due grandi giornali liberal americani che cercano, soprattutto il primo, di influenzare non solo la politica Usa ma anche quella internazionale, basti pensare al caso di Asia Argento, prima appoggiandola poi attaccandola.

Rampini, tuttavia, parla male di Trump -come è giusto da contratto di “sinistra”, ma, rispetto ad altri inviati negli Stati Uniti come ad esempio Giovanna Botteri, che hanno fatto della lotta a Trump la loro personale crociata ideologica (con i soldi pubblici della Tv di Stato), si chiede anche il perché Trump abbia vinto, non solo nell’ “America profonda” dei campi di granoturco, ma anche in realtà industriali, tradizionali roccaforti dei democratici.

E la risposta, che si dà anche Rampini, è quella corretta: perché il popolo non ne può più di élite radical chic. E questa è anche la chiave per capire il successo in Italia dell’alleanza giallo-verde.

 

 

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