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Eni-Nigeria, chiesto processo per pm: "Nascosero prove"

Eni-Nigeria, chiesto processo per pm: "Nascosero prove"

Dovrà essere vagliata da un giudice la posizione del procuratore aggiunto di Milano e responsabile del pool affari internazionali, Fabio De Pasquale, e del pm da poco più di un anno alla Procura europea, Sergio Spadaro, accusati di 'rifiuto d'atto d'ufficio' per il mancato deposito, nel 2021, di prove potenzialmente favorevoli agli imputati nel processo sul caso Eni-Nigeria, poi tutti assolti in primo grado con la formula 'perche' il fatto non sussiste'.

Richiesta di processo ancora non ufficiale ma confermata

 A chiedere il rinvio a giudizio al gup Cristian Colombo e' stata la Procura di Brescia che ha messo un punto fermo anche all'ultimo filone delle indagini sullo scontro tra pubblici ministeri milanesi passato alla ribalta delle cronache nazionali la scorsa estate e che ha sullo sullo sfondo le vicende della compagnia petrolifera italiana. La richiesta di processo, sebbene non sia stata resa ufficiale - come auspicherebbe la legge Cartabia sulla presunzione di innocenza - con un comunicato del Procuratore Francesco Prete, è trapelata in modo ufficioso ed e' stata pubblicata oggi in anteprima da un solo quotidiano e poi, sempre oggi e sempre in modo ufficioso, è stata confermata. L'inchiesta era stata chiusa nelle scorse settimane per la seconda volta, dopo una riapertura per effettuare una perizia sul telefono di Vincenzo Armanna, ex manager Eni valorizzato dalla Procura milanese come 'grande accusatore' dei vertici del gruppo, tra cui l'ad Claudio Descalzi (assolto), nel processo nigeriano.

I pm bresciani contestano di non aver depositato una serie di chat ritrovate sul cellulare di Armanna

I pm bresciani, guidati da Francesco Prete, contestano a De Pasquale e Spadaro di non aver depositato nel dibattimento sull'ipotizzata e non provata corruzione sui diritti di esplorazione del giacimento Opl245 una serie di chat ritrovate nel cellulare di Armanna nelle quali si parlava di 50mila dollari che l'ex manager avrebbe chiesto indietro ad Isaak Eke, il cosiddetto 'Victor', citato come teste nel dibattimento per confermare le accuse. Armanna consegnò ai giudici solo parte di quei messaggi, mentre il pm di Milano Paolo Storari (assolto a Brescia dall'accusa di rivelazione di segreto d'ufficio sui verbali di Piero Amara) aveva scovato gli altri Whatsapp nelle indagini sul cosiddetto 'falso complotto' e li aveva girati ai vertici della Procura all'epoca di Francesco Greco.

Non furono depositate nel processo, stando all'ipotesi della magistratura bresciana, anche altre chat di Armanna, sempre recuperate da Storari, con un altro teste nigeriano Mattew Tonlagha, che sarebbe stato 'indottrinato'. In piu', tra le accuse mosse ai pm milanesi anche il non aver introdotto nel processo presunte false chat, ancora una volta scoperte da Storari, che Armanna avrebbe creato per dare conto di suoi colloqui (falsi) con Descalzi e il capo del personale Eni Claudio Granata. Sul fronte del cellulare dell'ex manager di Eni, una perizia ha accertato, al contrario di quanto sostenuto da De Pasquale e Spadaro, la possibilita' di "estrapolare dalla copia" del telefono "solo alcuni dati di interesse" senza dover disvelare l'intero contenuto. E che era possibile il deposito di quelle prove favorevoli agli imputati. 

Mancato deposito di un video del luglio 2014

Infine, un'ultima contestazione: il mancato deposito di un video del luglio 2014 in cui, come ha spiegato il Tribunale milanese nelle motivazioni assolutorie, e' registrato un incontro tra Armanna e Amara che dimostrerebbe come il primo avesse orchestrato "un impressionante vortice di falsita'" contro i vertici Eni. Ora la parola passa al gup che dovrebbe fissare l'udienza preliminare per la fine di settembre.

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