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Economia
Il passaggio obbligato all’auto elettrica sarà un salasso per le nostre tasche

Auto elettrica: si rischia un salasso per i cittadini

L’Italia ha votato – non senza polemiche l’obbligo di produrre e vendere solo auto elettriche a partire dal 2035. Una svolta epocale che però apre diversi interrogativi. Il primo riguarda il costo delle e-car. Al momento il veicolo più economico viene venduto a oltre 20mila euro. Facile pensare che nei prossimi anni i costi si ridurranno drasticamente, ma intanto chi sta meditando di cambiare auto dovrà per forza rivolgersi verso una a motore termico o, al massimo, ibrida. D’altronde, l’età media del parco circolante è di 11,5 anni, ma il 35% delle automobili ha più di 15 anni. Vuol dire che chi decide oggi di acquistare una macchina arriverà comodamente al 2035 con un veicolo a benzina o diesel.

La macchina dunque potrebbe tornare a essere un bene di lusso in futuro, dopo esserlo stato nell'Italia del pre-boom economico. Oggi con circa 10mila euro si possono già acquistare delle vetture mentre con l’elettrico bisogna mettere in preventivo di investire almeno il doppio. Oltretutto, avendo in cambio prestazioni decisamente deficitarie. Autonomia di poco superiore ai 300 km, scarsità di colonnine di ricarica, difficoltà di utilizzo. Oltretutto l’e-car inizia a diventare conveniente dopo 80.000 km. In Italia mediamente se ne fanno 11.200 all’anno, quindi vuol dire che la curva si rende vantaggiosa solo dal settimo anno in poi. 

Auto elettrica: un rischio anche per l’industria

Tra l’altro, il passaggio repentino all’auto elettrica mette a repentaglio l’intera filiera automobilistica. Prima di tutto i lavoratori, visto che un’e-car necessita di molti meno addetti per essere assemblata. Si parla addirittura di un 30% di manodopera a rischio a livello europeo, cioè milioni di posti di lavoro. E poi c’è un altro dato: le case automobilistiche già prima del Covid stavano vivendo una crisi epocale, che la pandemia ha ulteriormente amplificato. Gli incentivi messi a punto dal governo finora hanno rappresentato un pannicello caldo più che una soluzione

Altri problemi sparsi: le infrastrutture al momento latitano terribilmente. Mancano colonnine di ricarica ma, soprattutto, manca una rete elettrica in grado di sostenere diverse auto “connesse”. Se a questo aggiungiamo che andiamo verso un periodo di scarsità di risorse energetiche, difficile immaginare di allocare una quota crescente di elettricità per la ricarica delle auto. E ancora: al momento nessuno si preoccupa di come verranno smaltite le batterie, che contengono al loro interno acidi pericolosi che, se gestiti malamente, possono avere effetti teratogeni sui terreni

Qualche tempo fa il ceo di Stellantis Carlos Tavares disse, ovviamente “pro domo sua” che per portare avanti la transizione energetica sarebbe stato sufficiente impiegare il mild-hybrid. In effetti, i diesel e i benzina di nuova concezione hanno delle emissioni talmente basse che gli effetti nocivi sull’ambiente vengono marginalizzati. Si guarda con favore all’idrogeno ma al momento, e chissà per quanto, ha dei costi tali di produzione che non può che essere appannaggio del trasporto commerciale. Ma, come ha dichiarato ad Affari il presidente di Enel Michele Crisostomo, non si avranno informazioni più precise prima della fine del decennio, quando al “ban” delle auto a combustione mancheranno solo 5 anni

Lo schiaffo alle flotte

C’è infine un altro tema: le flotte aziendali sono state escluse dai meccanismi incentivanti messi in piedi per il trasporto privato. Si tratta però di un comparto che, prima della pandemia da Coronavirus, valeva circa il 50% del venduto complessivo e che giocherà un ruolo fondamentale nella mobilità del futuro. Averlo escluso totalmente si tramuta in un altro autogol. Perché per un’azienda che magari deve decidere di comprare decine di autovetture in un colpo solo, anche 3.000 euro per veicolo può rappresentare una spinta notevole per cambiare sistema di alimentazione. 

 

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