Biofuel e ibride dopo il 2035: perché la strategia Meloni è un errore - Affaritaliani.it

Auto e Motori

Ultimo aggiornamento: 14:28

Biofuel e ibride dopo il 2035: perché la strategia Meloni è un errore

Meloni chiede lo stop al bando 2035 per ibride e biofuel. Un vicolo cieco industriale che frena gli investimenti e alza i costi: l'analisi dati alla mano.

Di Giovanni Alessi

La lettera firmata dalla Premier Giorgia Meloni e da altri cinque leader dell’Est Europa, indirizzata alla Commissione UE, avanza una richiesta politicamente forte:

permettere la vendita di auto ibride plug-in e veicoli a biocarburanti anche dopo il 2035. L’obiettivo dichiarato è proteggere la filiera tradizionale e guadagnare tempo. Tuttavia, se si sposta lo sguardo dalla politica all'industria e ai costi reali per il sistema Paese, questa strategia rischia di rivelarsi un errore di calcolo costoso.

Ecco perché, dati alla mano, riaprire la partita sul 2035 potrebbe danneggiare proprio quell'industria che si dice di voler salvare.

L’industria ha bisogno di certezze, non di cambi di rotta

Il settore automobilistico opera su cicli di investimento lunghi, dai 7 ai 10 anni. Sulla base dell'attuale regolamento UE (zero emissioni allo scarico dal 2035), i costruttori e la filiera hanno già mobilitato decine di miliardi di euro per riconvertire stabilimenti, costruire gigafactory e riqualificare il personale.

Rimettere in discussione la scadenza invia un messaggio devastante: le regole possono cambiare in corsa. Questo crea un clima di incertezza che:

Frena gli investimenti sulle nuove linee elettriche.

Spinge i CdA globali a dirottare capitali fuori dall'Europa.

Regala un vantaggio competitivo a Stati Uniti e Cina, che mantengono traiettorie tecnologiche più nette.

Marchi come Volvo e Polestar hanno già avvertito che un passo indietro dell'UE servirebbe solo a favorire i competitor cinesi, che corrono senza esitazioni sull'elettrico.

La trappola dei "due forni": costi doppi e perdita di scala

Mantenere in vita l'ibrido oltre il 2035 costringe l'industria europea a uno sforzo schizofrenico: finanziare lo sviluppo dell'elettrico e, contemporaneamente, aggiornare la tecnologia endotermica. Industrialmente, l'ibrido plug-in (PHEV) è intrinsecamente costoso e complesso perché richiede due catene cinematiche complete: motore termico (con scarico, cambio, iniezione) e sistema elettrico (motore, batteria, inverter).

Questa duplicazione impedisce di fare "economia di scala" sull'elettrico puro, mantenendo alti i costi delle batterie e della componentistica innovativa. Il rischio, evidenziato da analisi accademiche, è che l'Europa perda il ruolo di hub dell'innovazione, restando ancorata a tecnologie del passato mentre il mondo avanza.

Ibrido e ambiente: i conti non tornano

La lettera suggerisce che le ibride plug-in siano una soluzione a basse emissioni. I dati reali dicono altro. Studi condotti su oltre 800.000 veicoli in Europa mostrano che, nell'uso reale, i PHEV emettono solo il 19% di CO₂ in meno rispetto alle auto termiche, ben lontano dai dati di omologazione, poiché vengono spesso guidate a benzina senza essere ricaricate.

Inoltre, per i consumatori, insistere sull'ibrido significa acquistare un'auto più complessa, con costi di manutenzione doppi e un valore residuo a rischio man mano che le città bloccheranno i veicoli non a zero emissioni reali. Al contrario, il Total Cost of Ownership (costo totale di possesso) delle elettriche pure sta diventando sempre più competitivo.

L'illusione dei biocarburanti

Puntare sui biofuel per le auto private è una scommessa tecnicamente persa in partenza per due motivi: scarsità e costi.

Scarsità: I biocarburanti sostenibili (da scarti e rifiuti) sono pochi e servono disperatamente ai settori "hard to abate" come aerei e navi, che non possono elettrificarsi facilmente. Usarli nelle auto toglie risorse a chi ne ha davvero bisogno.

Costi: Modelli energetici indicano che un massiccio ricorso ai biofuel potrebbe alzare i costi dei carburanti tra il 30% e l'80%. Inoltre, molti biocarburanti attuali offrono risparmi di CO₂ limitati e comportano rischi di frodi legate all'importazione di materie prime non sostenibili.

Il costo del ritardo

C'è chi sostiene che il 2035 sia troppo vicino. In realtà, ritardare costa di più. Un'analisi citata in sede UE stima che rallentare l'elettrificazione potrebbe costare al sistema Europa circa 126 miliardi di euro l'anno, a causa del mantenimento di costose infrastrutture fossili e della mancata efficienza energetica. Per l'Italia, questo significa continuare a importare petrolio invece di produrre energia elettrica rinnovabile in casa, perdendo l'occasione di sviluppare

La proposta di Meloni e dei leader dell'Est Europa appare, alla luce dei dati, come un tentativo di proteggere gli asset del passato (motori e cambi) piuttosto che costruire il futuro. La vera sfida non è spostare la data del 2035, ma gestire la transizione risolvendo i problemi attuali: infrastrutture di ricarica, costi dell'energia e incentivi stabili. Cercare scorciatoie con ibride e biofuel è un vicolo cieco che rischia di lasciare l'industria europea più povera, più arretrata e meno competitiva sullo scacchiere globale.