Auto e Motori
Stellantis: produzione in calo e incertezze per l’Italia nel 2025
Nel primo semestre 2025, crolla la produzione negli stabilimenti italiani di Stellantis. Sindacati in allerta, servono certezze industriali e sociali.


In un’industria automobilistica europea che naviga in acque agitate, anche il gruppo Stellantis non è immune dalla tempesta.
I dati relativi al primo semestre 2025 confermano un trend negativo che si sta aggravando rispetto al già difficile 2024: 221.885 unità prodotte nei primi sei mesi dell’anno, tra autovetture e veicoli commerciali, con un calo complessivo del -26,9%. Le autovetture segnano una flessione ancora più accentuata, -33,6%, mentre i veicoli commerciali calano del -16,3%. Un quadro che mette in evidenza come, a differenza dell’anno scorso, nessuno stabilimento sembri oggi immune dalla crisi. Il 2025, se prosegue su questo ritmo, rischia di chiudersi sotto le 440.000 unità complessive, con solo 250.000 auto prodotte: un numero che riporta indietro l’orologio industriale di almeno un decennio.
Dall’introduzione della nuova governance, con l’arrivo di Antonio Filosa come CEO del gruppo a fine giugno, il confronto con i sindacati e le istituzioni è tornato al centro del dibattito. Dopo le proteste del 2024 e lo sciopero nazionale del 18 ottobre, culminato con le dimissioni di Carlos Tavares, Stellantis ha annunciato un’integrazione del piano “Dare Forward 2030”. Sono stati confermati 2 miliardi di investimenti negli stabilimenti italiani, 6 miliardi in acquisti da fornitori nazionali e l’obiettivo di 1 milione di veicoli entro il 2030. Ma per il momento, le parole si scontrano con i numeri.
Tra le fabbriche più colpite c’è Melfi, con una perdita del -59,4%: solo 19.070 unità prodotte, contro le 47.000 dello scorso anno. Il sito lucano, fulcro della futura piattaforma STLA Medium, sta vivendo la transizione più complessa. L’avvio della produzione di nuovi modelli multibrand elettrici e ibridi porterà i primi effetti solo dal 2026, lasciando il 2025 come un anno di stallo, con ricorso massiccio al Contratto di Solidarietà e riduzione degli organici per oltre 2.200 unità dal 2021 a oggi.
A Cassino, la situazione non è migliore: -34% con appena 10.500 auto realizzate. Anche qui l’attesa per i nuovi modelli Alfa Romeo e Maserati è accompagnata da un utilizzo intensivo degli ammortizzatori sociali. Il posticipo al 2026 della nuova generazione Stelvio e Giulia, anche in versione ibrida, aggrava l’incertezza. Lo stabilimento, un tempo fiore all’occhiello, oggi lavora a un solo turno, con occupazione ridotta e circa 50 giornate di fermo nel primo semestre.
Nemmeno Pomigliano, che nel 2024 aveva tenuto in piedi la produzione italiana grazie alla Fiat Panda, sfugge al crollo: -24%, con 78.975 vetture prodotte. I numeri restano alti in valore assoluto, ma segnano un'inversione pericolosa. Il calo della Panda e il flop della Dodge Hornet (solo 1.360 unità) sono segnali che pongono interrogativi sulla tenuta dello stabilimento. La continuità produttiva della “Pandina” fino al 2030 e l’assegnazione della piattaforma STLA Small per nuovi modelli dal 2028 rappresentano impegni importanti, ma troppo lontani per arginare l’emorragia attuale.
Il polo torinese di Mirafiori, simbolo storico dell’auto italiana, vive una crisi di identità industriale. Nel primo semestre 2025 sono state prodotte 15.315 unità, di cui 15.175 Fiat 500 BEV. Le Maserati, invece, si fermano a 140 unità, segnando quasi la fine della produzione premium nello stabilimento. Le nuove GranTurismo e GranCabrio saranno assemblate a Modena entro fine anno, mentre l’annunciata 500 ibrida, attesa da novembre, porterà solo 5.000 unità nel 2025. Mirafiori resta centrale per i progetti futuri, ma necessita di un rilancio occupazionale strutturale, altrimenti il rischio è una lenta ma costante desertificazione industriale.
Situazione delicata anche per lo stabilimento di Modena, sede della Maserati MC20. Appena 45 unità prodotte nei primi sei mesi del 2025, con soli 11 giorni di attività effettiva. Anche qui, la speranza è legata al trasferimento delle linee GT e GC da Torino, ma l’incertezza sul futuro di Quattroporte e Levante non rassicura né i lavoratori né il sindacato.
Un barlume di stabilità arriva da Atessa, unico plant focalizzato sui veicoli commerciali. Con quasi 98.000 unitàprodotte, il calo è contenuto (-16,3%) rispetto agli altri siti. Tuttavia, anche qui si è fatto ampio ricorso alla cassa integrazione e alla riduzione dei turni. La nuova gamma “Large” in arrivo dal 2027 e l’elettrificazione della piattaforma rappresentano opportunità, ma serviranno misure immediate per garantire la continuità. Positiva, intanto, la stabilizzazione di 114 lavoratori e il piano di uscite volontarie che ha coinvolto 402 addetti.
Resta invece completamente incerto il destino di Termoli, dopo la sospensione della Gigafactory ACC. Un progetto strategico, che rischia di essere cancellato con conseguenze pesantissime per circa 2.000 lavoratori e per tutta la filiera molisana. A oggi, restano solo le produzioni GSE e GME dei motori endotermici e l’annuncio dell’arrivo del cambio eDCT nel 2026, che però coprirebbe solo 250/300 posti di lavoro. Senza un’alternativa concreta, l’intero polo rischia la marginalizzazione definitiva.
In un contesto così fragile, assume valore ancora più forte l’accordo sul rinnovo del biennio economico 2025-2026 del CCSL, sottoscritto da Stellantis, Cnhi, Iveco e Ferrari, che prevede un aumento del +6,6% e una una tantum di 480 euro. Un risultato ottenuto anche grazie alla mobilitazione sindacale e che testimonia l’importanza del ruolo della contrattazione in fasi di crisi.
Ora, con il nuovo management in carica e la roadmap 2026-2030 da costruire, serve un confronto costante, chiaro e trasparente tra Stellantis, sindacati e istituzioni. È indispensabile fare il punto su ogni sito, verificare gli investimenti annunciati e accelerare la transizione industriale.
“Non possiamo più accontentarci di promesse o piani generici,” ha dichiarato Ferdinando Uliano, segretario nazionale FIM-CISL. “Serve un cronoprogramma preciso, sito per sito, con obiettivi di produzione chiari, investimenti verificabili e salvaguardia dei livelli occupazionali. Le transizioni – ambientale, tecnologica e digitale – devono essere governate, non subite. Senza un’azione industriale concreta e coordinata, rischiamo di compromettere definitivamente la tenuta dell’intero sistema automotive italiano.”
Un richiamo netto a Stellantis, ma anche al Governo, affinché le trasformazioni in corso non ricadano solo sui lavoratori. La vera sfida, infatti, non è solo produrre auto elettriche, ma farlo in Italia, salvaguardando competenze, salari e comunità produttive.
Ma la sfida non è solo nazionale. Come sottolineato da FIM-CISL, l’assenza di una strategia industriale europea rischia di accentuare le divergenze tra Paesi e di mettere fuori gioco l’intera industria automobilistica continentale, oggi minacciata dalla concorrenza cinese, dalla frammentazione normativa e dalla mancanza di un vero Green New Deal industriale.
Nel frattempo, la base industriale scricchiola. Ma con scelte coraggiose, investimenti mirati e una visione condivisa, è ancora possibile evitare il declino e rilanciare l’Italia come cuore pulsante della nuova mobilità europea.